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Lettera del Sottosegretario Levi a Grillo

19 Ottobre 2007

Caro Grillo,

ho letto il suo commento al disegno di legge di riforma dell’editoria appena approvato dal governo e vorrei tranquillizzare lei, i lettori del suo blog e, più in generale, il “popolo di Internet”.

Con il provvedimento che tra pochi giorni inizierà il suo cammino in Parlamento non intendiamo in alcun modo né “tappare la bocca a Internet” né provocare “la fine della Rete”. Non ne abbiamo il potere e, soprattutto, non ne abbiamo l’intenzione.

Ciò che ci proponiamo è semplicemente di promuovere la riforma di un settore, quello, per l’appunto dell’editoria, a sostegno del quale lo Stato spende somme importanti, che è regolato da norme che si sono succedute in modo disordinato nel corso degli anni e che corrispondono ormai con grande fatica ad una realtà profondamente cambiata sotto la spinta delle innovazioni della tecnologia.

Non abbiamo lavorato nel chiuso delle nostre stanze. Abbiamo pubblicato uno schema di legge e un questionario sul nostro sito internet, abbiamo ascoltato e incontrato tutti gli operatori del settore (gli editori grandi e piccoli, i giornalisti, gli specialisti della pubblicità, i distributori, gli edicolanti, i librai), ci siamo fatti aiutare da esperti dell’economia e del diritto.

Il risultato del nostro lavoro, il disegno di legge approvato dal governo, è leggibile sul nostro sito

(http://www.governo.it/Presidenza/DIE/index.html) dove pure si possono trovare in totale trasparenza tutti gli elementi e i dettagli dell’intervento pubblico a favore dell’editoria.

Ci siamo mossi avendo un punto di riferimento preciso e impegnativo: la tutela e la promozione del pluralismo dell’informazione. Un principio affermato con chiarezza dalla Costituzione e che nell’articolo numero 1 del nostro disegno di legge abbiamo definito come “libertà di informare e diritto ad essere informati”.

Niente, dunque, è stato ed è più lontano dalle nostre intenzione della volontà di censurare il libero dibattito dei e tra i cittadini.

Ci occupiamo di editoria persuasi che, nel tempo in cui viviamo, un prodotto editoriale si definisca a partire dal suo contenuto (l’informazione), e non più dal mezzo (la carta) attraverso il quale esso viene diffuso.

Vogliamo creare le condizioni di un mercato libero, aperto ed organizzato in modo efficiente. Per questo, intendiamo, tra le altre cose, abolire la registrazione presso i Tribunali sino ad oggi obbligatoria per qualsiasi pubblicazione e sostituirla con l’unica e più semplice registrazione preso il Registro degli Operatori della Comunicazione (Roc) tenuto dall’Autorità Garante per le Comunicazioni (AgCom).

Anche su questo punto, da lei particolarmente criticato e temuto, lo spirito della nostra legge è chiaro. Quando prevediamo l’obbligo della registrazione non pensiamo alla ragazzo o al ragazzo che realizzano un proprio sito o un proprio blog. Pensiamo, invece, a chi, con la carta stampata ma, certo, anche con internet, pubblica un vero e proprio prodotto editoriale e diventa, così un autentico operatore del mercato dell’editoria.

Siamo consapevoli che, soprattutto quando si tratta di internet, di siti, di blog, la distinzione tra l’operatore professionale e il privato può essere sottile e non facile da definire. Ed è proprio per questo che nella legge affidiamo all’Autorità Garante per le Comunicazioni il compito di vigilare sul mercato e di stabilire i criteri per individuare i soggetti e le imprese tenuti ad iscriversi al Registro degli Operatori.

L’informazione è un elemento prezioso e decisivo per la democrazia e deve essere trattata con estrema attenzione e rispetto. Per questo, ripeto – e non per sfuggire alle nostre responsabilità –, pensiamo che sia bene, affidarsi ad autorità che abbiano la competenza per regolare una materia così specifica e che siano indipendenti rispetto ai governi e al potere politico.

Quanto alle responsabilità, la sostanza di ciò che abbiamo scritto nel nostro disegno di legge – e mi sembra una disposizione di buon senso – è che per chi pubblica un giornale debbano valere le medesime regole sia che si tratti di un giornale stampato sia che si tratti di un giornale on-line.

Più in generale e al di là di quanto previsto dalla nostra legge, credo, però, che il tema della responsabilità per ciò che viene pubblicato sulla rete sia un tema importante e che a nessuno dovrebbe stare più a cuore che a chi usa, apprezza e ama la rete.

Certo che il suo blog non chiuderà, le invio, caro Grillo, un cordiale saluto

Ricardo Franco Levi

Fonte: http://www.governo.it/GovernoInforma/Comunicati/testo_int.asp?d=36855

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Nessuna risposta

  1. Stevejo ha detto:

    Cmq, al di là di ogni marcia indietro, quà mi pare che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra…

    Gentiloni e DI Pietro sono pagati per fare leggi, così come qualsiasi altro ministro e parlamentare che deve votarle…ogni legge, quindi, DOVREBBE essere letta bene e interalmente (da tutti) prima di essere votata, visto che li paghiamo per questo. Che significa che "non ho letto bene parola per parola?…ma che hai letto solo i titoli?

    E poi: Di Pietro e Gentiloni dicono che così non và, che deve essere modificata…ciò significa che l'interpretazione data dalla "rete" al ddl e l'allarmismo che ne è scaturito è più che giustificato.

    Levi, invece, nella lettera a Grillo, dice che in realtà non è così, nel senso che, specificando il senso del ddl, non ammette però che è interpretabile diversamente.

    Insomma, come al solito, c'è chi dice una cosa e chi ne dice un'altra, noi li paghiamo (e profumatamente), e loro non leggono nenache le leggi che vanno a votare…mi ricordo un servizio delle IENE, dove si metteva in evidenza che la stragrande maggioranza dei parlamentari non sa neanche cosa dice la legge che va a votare: c'è un lustrascarpe che si prende la briga di leggerla, dice al proprio parlamentare che va bene, questo lo dice ai suoi colleghi, e la legge passa…e magari fa schifo.

    Magari non va proprio così ma, insomma, poco ci manca.

    E poi ci scandalizziamo quando i giudici interpretano la legge…ma se la legge è fatta male, è colpa del parlamento, non dei giudici!!!

    Saluti,

    stefano