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  1. davide ha detto:

    Ecco come comportarsi dopo l'approvazione del nuovo Codice dell'Ambiente (Dlgs 152/2006):

    http://nuke.pattiweb.net/NormeModuliDenunce/Norme/Discaricaabusivaabbandonodirifiuti/tabid/74/Default.aspx

    DISCARICA ABUSIVA / RIFIUTI ABBANDONATI Riduci

    L’articolo 192 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 (Norme in materia ambientale) vieta "l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo", e "l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali o sotterranee". Chi non rispetti la norma è punito "con la sanzione amministrativa pecuniaria da 105 a 620 euro", nel caso di rifiuti pericolosi e ingombranti; da 25 a 155 euro, negli altri casi (articolo 255).

    L’articolo 256, invece, punisce la discarica abusiva vera e propria, ovvero "l’attività di raccolta, trasporto, recupero , smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti" senza autorizzazione. Si tratta, in questo caso, di un reato penale, punito con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 a 26.000 euro, nel caso di rifiuti pericolosi; con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 a 26.000 euro, negli altri casi.

    La differenza tra il semplice abbandono di rifiuti e la discarica abusiva sta, secondo la prevalente giurisprudenza, nel fatto che il primo è assolutamente occasionale, il secondo ripetuto e abituale.

    Inoltre, il colpevole dell’abbandono di rifiuti "è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero e allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dei luoghi". Lo stesso obbligo ricade sul proprietario o conduttore dell’area. Il sindaco "dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere" (192). Se il colpevole "non ottempera all’ordinanza, è punito con l’arresto fino a un anno" (art. 255). In questo caso, oppure se il responsabile non viene individuato, il sindaco ordina la rimozione e il ripristino dei luoghi, a spese del Comune. Salvo, successivamente, recuperare dai colpevoli le somme spese, dai colpevoli della violazione.

    Fin qui la normativa nazionale, che stabilisce competenze, responsabilità e procedure in modo chiaro e preciso. Ma in Sicilia le cose stanno diversamente.  L'articolo 160 della Legge Regionale n. 25 del 1 settembre 1993 prevede, infatti, che "le province svolgono obbligatoriamente l'attività di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani e speciali nelle parti di territorio esterno ai perimetri dei centri abitati" e aggiunge che tale attività "può essere estesa a interventi di risanamento ambientale di parti del territorio danneggiato dalla presenza di discariche abusive, fatto salvo il diritto di risarcimento nei confronti dei responsabili del danno ambientale". Il conflitto tra norme nazionali e regionali ha dato vita a un vero e proprio caos normativo, con un conseguente scarica-barile tra Comuni e Province, che, alla fine, è stato risolto dal Consiglio di giustizia amministritava della Regione Sicilia (con la sentenza n. 553, depositata il 21 settembre 2006), il quale ha disposto che la competenza sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti al di fuori dei centri abitati resta alle Province, a differenza che nel resto d'Italia. Per ovviare alla genericità della norma siciliana, l'assessore regionale al Territorio e all'Ambiente ha emesso una circolare (n. 6006 del 27 marzo 1998), che precisa la ripartizione delle competenze:  se il responsabile della discarica abusiva viene identificato, lo sgombero viene ordinato dal sindaco; se invece il l'autore dell'illecito non è individuato, spetterà al Comune provvedere allo sgombero all'interno del centro abitato, alla Provincia al di fuori del centro abitato. Ma il caos normativo resta, anche perchè la circolare non ha valore di legge, ma è solo un atto amministrativo. Inoltre, mentre la norma nazionale impone al sindaco degli obblighi precisi, nel momento in cui venga a conoscenza del'esistenza di una discarica (emettere un'ordinanza per la rimozione dei rifiuti e, nel caso in cui la rimozione non avvenga o il colpevole non venga individuato, procedere alla rimozione stessa e al ripristino dei luoghi a spese del Comune), la norma regionale non definisce nel dettaglio le responsabilità del presidente della Provincia, stabilendone solo, genericamente, la competenza sulla raccolta e lo smaltimento.

     

    Che cosa possiamo fare per difenderci dalle discariche abusive?

    Se vediamo qualcuno che abbandona rifiuti, possiamo denunciarlo alle forze dell’ordine. Prendiamo il numero di targa del suo mezzo di trasporto e, se possibile, scattiamo delle foto. Andiamo alla caserma dei carabinieri o al commissariato di polizia più vicini e raccontiamo quello che abbiamo visto. La denuncia può anche essere presentata in forma anonima, ovvero senza firmare il verbale.

    Se, invece, ci imbattiamo in un deposito di rifiuti o in una vera e propria discarica abusiva, facciamo una segnalazione (con raccomandata con avviso di ricevimento) alla Procura della Repubblica, al sindaco e, se i rifiuti si trovano all'esterno del centro abitato, anche  alla Provincia, se possibile allegando alcune fotografie.

    Da questo momento, il sindaco (o il presidente della Provincia) è tenuto a provvedere entro 30 giorni. O almeno, entro lo stesso termine, a rispondere alla nostra segnalazione, per esporre le ragioni del ritardo. Se non lo fa, è colpevole del reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 del codice penale), punibile con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Quindi, possiamo mandare un esposto alla Procura della Repubblica competente, nei confronti del sindaco (o del presidente della Provincia) inadempiente. La Procura è obbligata ad avviare l'azione penale.

     

     

  2. davide ha detto:

    Pare che anche i rifiuti abbandonati lungo le strade provinciali vadano eliminati a cura del comune, come dice il portavoce di Cusani:

    http://www.provincialatina.tv/news/dett.aspx?id=22634

    Il Comune di Gaeta se la prende con via Costa, ma è responsabile della pulizia
    Flacca nel degrado, la polemica
    Intanto si va avanti con i nuovi piani del colore

    immagine notizia Latina (22/09/2008) – Antonio Raimondi, l'ottimo sindaco di Gaeta, attraverso sua cognata, la gentile sig.ra Marina Costabile e l'altrettanto rispettabile sig. Rosario Cienzo, pensano di aprire un fronte di scontro con la Provincia di Latina rispetto a presunte e millantate inadempienze che l'Ente di via Costa avrebbe avuto per la fallace manutenzione, in particolare, della Strada Regionale Flacca e via Sant'Agostino.
    Ci dispiace contraddire la pugnace avanguardia del pur capace Primo cittadino di Gaeta, ma gli argomenti posti a sostegno della polemica dalla fotogenica cognata e dal consigliere Cienzo, della Lista Civica per Raimondi, sono di pura propaganda pre elettorale.
    Bastava un minimo di pazienza e informazione in più e leggere l'esplicativa lettera inviata il 10 settembre ultimo scorso dalla Provincia all'assessore all'ambiente, per comprendere i veri termini della vicenda.
    Nella missiva, tra l'altro, potevano leggere che: …"La competenza per la raccolta dei rifiuti abbandonati su aree pubbliche o su spazi adibiti ad uso pubblico è del COMUNE (GAETA), al quale il Testo Unico sull'Ambiente nel combinato disposto dagli artt. 184, 198, 192 e 255, conferisce anche i relativi poteri sanzionatori.
    Pertanto, pur affermando la propria disponibilità ad intervenire sulle sole aree di competenza e con il proprio personale, si conferma che l'intervento di rimozione deve essere realizzato direttamente dal COMUNE (GAETA), al quale compete altresì la vigilanza sui comportamenti indisciplinati degli utenti".
    Per ulteriore e opportuna informazione portiamo a conoscenza della sig.ra Costabile e del sig. Cienzo, che la Provincia di Latina, per l'intero e ottimale assetto viario di quella zona ha investito negli ultimi tempi progettualità e fondi di bilancio importanti.
    Partendo dall'ultima delibera, in ordine di tempo, datata 3 luglio 2008, la quale ha dato il via libera allo stanziamento di 9 milioni di euro per lavori di sistemazione e messa in sicurezza della S.P. Sant'Agostino, della S.R. 213 Flacca alla strada consortile (CONSID).
    Nell'anno 2007 la Provincia ha impegnato 293.941,00 per lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza della S.R. Flacca nel tratto dal km 30+150 al km 30+500 lato sinistro, nel tratto dal km 20+500 al km 21+700 e nel tratto dal km 15+865 al km 16+465 lato destro.
    Nell'appalto di 900mila euro che la Provincia ha stanziato per interventi di manutenzione sulle strade regionali, la Piana di Sant'Agostino, le strade limitrofe e la Flacca hanno usufruito di lavori di fresatura, nuovo asfalto e segnaletica.
    Nell'anno 2007 la Piana di Sant'Agostino ha visto concretizzarsi, naturalmente a spese della Provincia di Latina, gli impianti semaforici.
    Negli anni 2007 e 2008 la Strada Regionale Flacca, comprese le banchine e i fossi, sono stati oggetto di ripetuti trattamenti con diserbanti ecologici.
    In ultimo, ma soltanto perché è un accadimento temporale, la Provincia di Latina ha approvato un progetto esecutivo per la realizzazione di marciapiedi e opere di tombinamento lungo la S.R. Flacca, località Sant'Agostino dal km 21+747 al km 22+050 lato destro e dal km 21+684 al km 20+050 lato sinistro, per un importo di 397.450,00 euro.
    Contestualmente gli uffici tecnici della Provincia hanno inviato la richiesta per il conseguente parere che le leggi richiedono in queste occasioni al Comune di Gaeta.
    Missiva spedita dal protocollo dell'Ente di via Costa il 14 luglio 2008.
    Mentre scriviamo gli uffici ci informano che il parere richiesto non è ancora giunto dal Comune di Gaeta.

     

  3. davide ha detto:

    Ecco invece la normativa che regola i rifiuti da demolizione e costruzione, comunemente detti "calcinacci" e che il privato (anche dopo l'inaugurazione delle isole ecologiche) non sà come smaltire, dando luogo al triste fenomeno delle discariche abusive…

    http://www.edilportale.com/dossier/dos101003-1.asp

    RIFIUTI INERTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE
    Normativa, aspetti quantitativi e qualitativi, scenari di mercato, recupero e riciclaggio

     

    I rifiuti inerti da demolizione e da costruzione (nel seguito, rifiuti da C&D) prodotti da cantieri edili sono classificati come rifiuti speciali. Nel passato la Pubblica Amministrazione, presa dallo stato di emergenza ambientale creato dai rifiuti di origine urbana e dai rifiuti pericolosi, di maggior impatto sulla salute dell'uomo, non ha dato la giusta attenzione a tale tipologia di rifiuto. In questi ultimi anni, però, sotto la spinta dell'Unione Europea anche in Italia si sta dando una maggiore importanza alla gestione dei rifiuti da C&D.

    1. RECUPERO E RICICLAGGIO DEI RIFIUTI INERTI
    Ogni anno in Italia si producono solo di rifiuti inerti provenienti dalle opere di demolizione 34 milioni di tonnellate [Symonds Travers Morgan/ARGUS, 1995]; Lo smaltimento di rifiuti inerti derivanti dal comparto delle costruzioni e demolizioni dovrebbe avvenire attraverso il conferimento in discarica 2A; tuttavia è possibile constatare che notevoli quantità di questi materiali sono abbandonati abusivamente in maniera incontrollata su suoli pubblici e privati, provocando una diffusa deturpazione delle periferie urbane invase da cumuli di rifiuti.
    Contemporaneamente si sta riscontrando specie nelle regioni del Nord d'Italia una difficoltà crescente nel reperire materiali da cava poiché molte Amministrazioni Regionali stanno adottando misure sempre più restrittive nei riguardi delle attività estrattive per tutelare il proprio territorio.
    Le cause di tale scempio possono essere sintetizzate in 3 fattori principali:
    " Mancanza di controlli efficaci da parte delle autorità competenti;
    " Costi non trascurabili per lo smaltimento e il trasporto in discarica dei rifiuti;
    " Carenza nelle zone a maggiore densità abitativa di discariche autorizzate e/o di piattaforme per il recupero e il riciclo dei rifiuti
    Tali cause hanno creato le condizioni per un diffuso abusivismo che deturpa il territorio nazionale con particolare riferimento alle regioni centro meridionali.

    1.1.Sintesi aspetti normativi
    Il D. Lgs. n° 22 del 5 febbraio 1997 considera i rifiuti inerti da C&D (numero di codice CER 100200 e 170500) come rifiuti speciali da smaltire in discarica di II° categoria tipo 2A.
    Se invece di smaltire i rifiuti inerti non pericolosi in discarica, si decide di recuperarli, risulta che: "Le attività di recupero di scarti nello stesso luogo di produzione non sono soggette a comunicazione ed autorizzazione perché non ricorre la condizione che il produttore se ne disfi o abbia l'obbligo di disfarsi" (art. 7). Il recupero di materiali inerti non pericolosi in opere complesse di ripristino ambientale è attività soggetta a comunicazione amministrativa (art.5 del 5 febbraio 1998).
    Tuttavia, anche se il decreto esonera dall'obbligo di autorizzazione le attività di recupero, nel luogo di produzione devono essere effettuate nel rispetto delle prescrizioni tecniche dettate dal DM del 5 febbraio 1998 per i rifiuti non pericolosi, garantendo la salvaguardia dell'ambiente, della salute dell'uomo e delle normali condizioni di sicurezza.
    Se il recupero dei rifiuti inerti non pericolosi avviene presso impianti autorizzati, il rifiuto inerte, al termine di una serie di trattamenti finalizzati al raggiungimento degli standard merceologici (All. 1 CNR – UNI 10006) e alla verifica della compatibilità ambientale (All. 3 test di cessione), diventa MPS (materia prima secondaria), comparabile ad una materia prima e quindi esclusa dalle norme sui rifiuti.

    1.2. Produzione di rifiuti inerti: aspetti quantitativi e qualitativi
    Le stime delle quantità dei rifiuti da demolizione e costruzione e della loro qualità costituiscono uno dei nodi problematici del riciclo delle materie edili.
    Il metodo più diffuso per quantificare le macerie provenienti dall'attività edilizia e per permettere un confronto a livello internazionale è la costruzione di indici riferiti alla popolazione.
    I rifiuti da C&D costituiscono una quota percentuale rilevante della produzione totale di rifiuti in tutti i paesi della Unione Europea;si stima che i rifiuti da C&D rappresentano circa il 25% in peso di tutti i rifiuti prodotti in Europa. I dati più recenti sul flusso dei rifiuti C&D nei 15 paesi dell'Unione Europea (rapporto DGXI, febbraio 1999) informano che la produzione complessiva è superiore a 470 Mt/a, di cui circa 180 Mt/a derivano da costruzione e demolizione di fabbricati e oltre 350 Mt/a da costruzioni stradali e escavazioni. Ne deriva una produzione di rifiuti C&D pro capite a livello europeo di oltre 480 kg/ab * anno.
    Da quanto risulta dal rapporto della DGXI del 1999 è possibile registrare che il tasso più elevato di produzione annua pro capite si osserva in generale nei paesi del Nord Europa (Tab. 1).
    Come è possibile evincere solitamente i materiali inerti non hanno un grosso impatto sull'ambiente e sulla salute dell'uomo poiché contengono basse percentuali di sostanze pericolose contenute in alcuni materiali da costruzione o derivanti da demolizione di siti contaminati.Quindi il maggior problema dei rifiuti da C&D non è tanto la pericolosità, poiché la presenza di sostanze pericolose è abbastanza ridotta, quanto i quantitativi prodotti.
    La segmentazione della produzione di detriti provenienti dalla demolizione in Italia è cosi' ripartita:
    – circa il 53% in peso, proviene dal settore della microdemolizione residenziale.
    – il 39% in peso da attività di microdemolizione del patrimonio edilizio non residenziale
    – l'8% in peso proviene dalle demolizione di interi edifici.

    Tra le attività di costruzione e demolizione in generale è la demolizione che origina il maggior flusso di rifiuti: quelli prodotti in fase di demolizione sono 1000-2000 kg/m² pari al 93% della produzione complessiva, 50-100 kg/m² sono quelli prodotti in fase di manutenzione pari al 4,6% e 25-50 kg/m² sono quelli prodotti in fase di costruzione pari al 2,3%.
    Si riportano (Tab. 2) i quantitativi di materiale inerte prodotti, la frazione che attualmente viene recuperata e gli obiettivi futuri nei diversi stati membri della UE [Symonds Travers Morgan/ARGUS,1995].
    Come è possibile constatare, sono i paesi del nord Europa (Olanda, Gran Bretagna) ad avere la maggiore percentuale di recupero di materiale inerte, questo sia per motivi culturali che per la carenza di siti naturali da cui estrarre materie prime.
    Nel confronto tra Paesi europei è possibile constatare un profondo ritardo del nostro paese nella produzione di materiale riciclato, segno di poca attenzione nella tutela delle risorse naturali a disposizione.
    Nonostante siano state promulgate leggi più restrittive, è diffusa in molti paesi europei la pratica di smaltimento in discariche non autorizzate e completamente prive di ogni forma di controllo.
    Nei paesi del Nord Europa (Tab. 3;) si riscontrano i livelli più elevati di riciclaggio e di riutilizzo dei rifiuti C&D, risultato ottenuto grazie a una politica fortemente integrata di provvedimenti presi contemporaneamente quali:
    • Imposizione di tasse sullo smaltimento in discarica
    • Prescrizioni restrittive per lo smaltimento (in particolare per i rifiuti recuperabili)
    Provvedimenti che hanno condotto a:
    • Incentivazione all'utilizzo delle materie prime seconde provenienti dai rifiuti inerti a C&D
    • Diminuzione dello sfruttamento delle materie prime provenienti da cave.

    Tab-1:Produzione di rifiuti da demolizione e costruzione in Europa
    [Elaborazione dati ANPA; fonte Commissione Europea,DGXI-1999]

    Paese Produzione pro-capite
    kg/ab anno
    Rifiuti C&D
    (% totale UE )
    Germania 719 32,8
    Regno Unito 509 16,7
    Francia 404 13,1
    Italia 354 11,4
    Spagna 326 7,1
    Olanda 716 6,2
    Belgio 662 3,7
    Austria 580 2,6
    Grecia 171 1
    Portogallo 323 1,8
    Danimarca 498 1,5
    Svezia 192 0.9
    Finlandia 265 0,7
    Irlanda 154 0,3
    Lussemburgo 700 0,2
    Totale UE 480 100

    Tab-2:Produzione dei rifiuti da C&D, frazione attualmente recuperata e futuri obbiettivi in diversi Stati Membri della UE [Symonds Travers Morgan/ARGUS,1995]

    STATO MEMBRO PRODUZIONE di RIFIUTI
    (Milioni di tonnellate)
    FRAZIONE RECUPERATA (%) OBIETTIVI di RECUPERO
    (%)
    Germania 53 28 40-90
    Olanda 14 60 90
    Gran Bretagna 45 51  
    Danimarca 1,5 25 60
    Italia 34,3 5  
    Francia 20-25 10  
    Spagna 7,2-13,5 3,7  
    Belgio:
    Fiandre
    Bruxelles
    Valloni
    4,6
    0,85-1
    2,6-2,8
    2

    60
    70

    Tab-3:Produzione,recupero,riciclaggio e smaltimento in discarica dei rifiuti da demolizione e costruzione in Europa
    [Elaborazione dati ANPA; fonte Commissione Europea,DGXI-1999]

    Paese Riutilizzo /riciclaggio Smaltimento in discarica
    103 t/a % 103 t/a %
    Germania 10,03 17 48,97 83
    Regno Unito 13,50 45 16,50 55
    Francia 3,54 15 20,06 85
    Italia 1,81 8,9 18,59 91,1
    Spagna 1,13 8,8 11,67 91,2
    Olanda 10,16 91 1 9
    Belgio 6,18 91,5 0,57 8,5
    Austria 1,93 41 2,77 59
    Grecia 0,07 4 1,73 96
    Portogallo 0,13 4 3,07 96
    Danimarca 2,22 84 0,42 16
    Svezia 0,64 38 1,05 62
    Finlandia 0,93 69 0,42 31
    Irlanda 0,02 4 0,55 96
    Lussemburgo 0,05 17 0,23 83
    Totale UE 52,34 29,1 127,61 70,9

    2. SCENARI DI MERCATO DEI MATERIALI EDILI PROVENIENTI DALLE DEMOLIZIONI

    Secondo gli studi condotti dal CRESME (1998) si considera una produzione media in Italia di 354 kg di detriti per abitante per anno; a causa della segmentazione territoriale del mercato della demolizione si vede una differenziazione da una regione all'altra della produzione pro capite di inerti.
    Si consideri che il 40-50% del quantitativo totale di materiale inerte richiesto nel campo dell'ingegneria civile viene attualmente impiegato come materiale di riempimento durante la preparazione e l'esercizio delle discariche, in opere di ripristino ambientale, per sottofondi stradali, riempimenti cioè in usi "meno nobili" che richiedono materiali di qualità inferiore, solo ridotti in granulometria [Bressi, '92]. Considerato che la richiesta annua di inerti a livello nazionale è pari a 541 milioni di tonnellate [Avagnano, '93] di cui circa il 40% da destinare ad usi "meno nobili" e tenuto conto che la produzione nazionale di rifiuti inerti è pari a 34 milioni di tonnellate all'anno, si otterrebbe una produzione di materiale riciclato inferiore alla domanda complessiva di inerte di minor pregio.
    Esiste, quindi, la concreta possibilità di sostituire, almeno in parte, gli inerti naturali con quelli da demolizione. Il riciclaggio di rifiuti inerti in Italia ridurrebbe l'estrazione di materiali lapidei a beneficio di una maggiore salvaguardia ambientale e contemporaneamente si diminuirebbero i volumi delle macerie da smaltire

    In Italia per prima la Provincia di Modena, sulla base dei risultati delle prove effettuate su inerti riciclati, ha introdotto nei propri capitolati la possibilità di impiego di materiale inerte riciclato.
    Per incentivare la partecipazione di tutti gli operatori economici il decreto Ronchi prevede la stipula di accordi di programma con lo Stato e con le Regioni interessate per una gestione ottimale del recupero, ricorrendo oltre che a strumenti economici, anche alla possibilità di derogare, per alcuni adempimenti di carattere amministrativo, a favore dei soggetti che aderiscono all'accordo (art. 4 comma 4).
    La Regione Toscana, riferendosi a tale articolo, con Delibera del 28 luglio 1998 n° 265, ha prescritto, nei bandi di gara per l'affidamento di lavori, che le offerte dei concorrenti prevedano una percentuale minima di materiale riciclato pari al 15% del materiale da costruzione da utilizzare.
    Non ultima la "specifica tecnica" emessa dalle Ferrovie dello Stato sull'utilizzo dei materiali provenienti da demolizione edilizia per la realizzazione dei rilevati ferroviari.

    La diversità dei costi delle materie prime, diversità dei costi per lo smaltimento in discarica dei rifiuti, diversità dei controlli sul territorio nazionale, hanno creato i presupposti perché si debbano distinguere in Italia due macro-aree geografiche differenti.
    • nel Centro-Nord d'Italia sono stati installati diversi impianti fissi di riciclaggio di rifiuti inerti, creando vantaggi economici per le imprese edili che possono smaltire legalmente i rifiuti inerti a costi più bassi di quelli imposti dalle discariche, e vantaggi economici per quelle imprese di costruzione che comprano i materiali inerti per sottofondi stradali a prezzi più bassi di quelli imposti dalle cave, oltre a evidenti benefici ambientali per il territorio.
    • nel Sud Italia invece stenta a partire il riciclaggio dei rifiuti inerti dal momento che i costi dei materiali da cava sono più bassi di quelli che vengono applicati nelle regioni del Nord Italia, per cui risulta più difficile da un punto di vista economico, sostituire il materiale inerte di cava con materiale inerte riciclato. A tutto ciò bisogna aggiungere che la carenza dei controlli da parte delle autorità di competenza, comporta che lo smaltimento dei rifiuti inerti avviene in maniera quasi completamente abusivo con evidenti danni ambientali. Tuttavia in questi ultimi anni, per una serie di direttive Europee, per una maggiore sensibilità e attenzione alle problematiche ambientali, per l'esigenza delle imprese edili di gestire correttamente i propri rifiuti, onde evitare sanzioni penali ed amministrative, e per l' interesse al recupero di alcuni prodotti provenienti dalle demolizioni di vecchi edifici, quali tegole, pavimentazioni in pietra, portali in pietra utilizzati per il restauro di centri storici, ricostruzione di edifici di particolare pregio storico-architettonico, agriturismi, masserie fortificate, si stanno ponendo le condizioni perché anche nel Mezzogiorno d'Ialia si avviino processi virtuosi già esistenti in alcune aree nel Nord Italia.

    3. TECNICHE E TECNOLOGIE PER IL RECUPERO E RICICLAGGIO DEI RIFIUTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE

    3.1. Demolizione selettiva
    La separazione all'origine richiede l'ausilio di tecniche di decostruzione che sono indicate con il termine generale di demolizione selettiva: si tratta di un processo di dissasemblaggio che, in genere, avviene in fase inversa alle operazioni di costruzione. Lo scopo della decostruzione è quello di aumentare il livello di riciclabilità degli scarti generati sul cantiere di demolizione secondo un approccio che privilegia l'aspetto della qualità del materiale ottenibile dal riciclaggio. Alla demolizione tradizionale con il conferimento delle macerie in discarica si sostituisce la demolizione selettiva che consente un recupero in percentuali elevate dei materiali attraverso tecniche in grado di separare le diverse frazioni omogenee per poterle, successivamente, inviare a idonei trattamenti di valorizzazione.

    3.2. Demolizione controllata
    In alternativa alla separazione all'origine si può ricorrere al trattamento del rifiuto, raccolto alla rinfusa, in impianti appositamente realizzati. L'impiantistica in oggetto è stata caratterizzata, negli ultimi anni, da un notevole sviluppo tecnologico, portando a realizzazioni tali da rendere possibili l'adduzione di rifiuti indifferenziati ottenendo in uscita almeno tre categorie merceologiche differenti:
    • Inerti lapidei di caratteristiche granulometriche predefinite, mediante sistemi di frantumazione, deferrizzazione e vagliatura ormai ampiamente testati
    • Materiale metallico separato dalle macerie mediante l'utilizzo di adeguati separatori magnetici
    • Frazione leggera costituita in prevalenza da materiale ad elevato potere calorifico (carta, legno, plastica) ottenuta mediante varie tipologie di sistemi (si passa, infatti, dalla separazione manuale, a sistemi di aspirazione e ventilazione, per arrivare ad ingegnosi sistemi di separazione per flottazione).

    3.3. Impianti di riciclaggio mobili e fissi
    Negli ultimi anni lo sviluppo dell'impiantistica atta al trattamento dei residui C&D ha trovato un notevole impulso grazie all'incremento dei costi di smaltimento in discarica. Tale incremento ha portato i produttori di rifiuti inerti ad optare per il trattamento degli stessi isolando le componenti più pericolose e conferendo la restante parte alle discariche meno onerose, recuperando in tal modo altri materiali da riciclare nei cicli di produzione.
    Generalmente la lavorazione dei materiali inerti provenienti da attività edili può essere effettuata mediante due tipologie di impianti: gruppi mobili di frantumazione ed impianti fissi di trattamento per il riutilizzo.
    Gli impianti fissi di trattamento e riciclaggio, progettati con un elevato contenuto tecnologico, sono in grado di garantire un materiale inerte in uscita omogeneo e controllato da un punto di vista granulometrico; pertanto privo di componenti non inerti tali da aumentarne il valore dello stesso.
    Tale tipologia impiantistica è di norma caratterizzata da soluzioni standard per le fasi di frantumazione, vagliatura e deferrizzazione, mentre la fase di selezione della frazione leggera risulta particolarmente diversificata a seconda del livello di riciclaggio che si intende perseguire.
    I gruppi mobili, derivanti dai tradizionali impianti di frantumazione di inerti da cava ed economicamente convenienti in grossi cantieri di demolizione, consentono solitamente la semplice riduzione volumetrica dei singoli elementi immessi nell'impianto; è da verificare caso per caso, se con opportuni accorgimenti tecnologici, si possa garantire un adeguato assortimento granulometrico dei materiali in uscita al trattamento, e l'eliminazione delle frazioni non inerti. Una tale tipologia impiantistica offre come vantaggio sostanziale la possibilità di abbattere eventuali costi di trasporto nel caso di riutilizzo in loco del materiale da destinare a frantumazione, ma bisogna verificarne le caratteristiche merceologiche presenti, al fine di una loro reintegrazione nei cicli di produzione.

     

  4. davide ha detto:

    Per quanto invece riguarda le "Terre e rocce da scavo" la normativa è ambigua, nonostante alcune sentenze delle corte di Cassazione che le considerano "rifiuti speciali", anche se riutilizzate in sito…

    In pratica c'è il paradosso che i calcinacci possono essere riutilizzati nel sito di cantiere, mentre le terre e rocce di scavo no…

    Anche le terre di scavo se abbandonate vanno a formare discariche abusive, tal quale i calcinacci.

    http://www.ambiente.it/impresa/monografie/rifiuti/dalessandris5.htm

    17 giugno 2005

    TERRE, ROCCE DA SCAVO E RIFIUTI DA DEMOLIZIONE

    di Luca D’Alessandris (**)

    Una delle questioni che ha caratterizzato gli ultimi anni,  impegnando il  legislatore, la giurisprudenza e la dottrina, è senza dubbio  quella  sulle terre – rocce da scavo e  rifiuti da demolizione;

    Gli interrogativi posti ed  in parte irrisolti, che vertono su problematiche  che si intersecano con altre,  sono sulla nozione di rifiuto ed il “disfarsi”, sull’oggettivo ed effettivo recupero, sul riutilizzo, sull’esclusione o meno dalla applicazione della normativa sui rifiuti perché bene-prodotto, sull’esatto recepimento della normativa europea sui rifiuti, e per finire sulle diverse e contrastanti  interpretazioni giurisprudenziali nei diversi gradi di giudizio.

    Normativa previgente il Dlgs 22/97

     

    La normativa di riferimento ante-decreto Ronchi, ovvero il DPR 915/82,  classificava “i materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi, …”  come rifiuti speciali ai sensi dell’art. 2 comma 3 punto 3), che la Delibera Interministeriale del 27/07/1984 destinava ai fini dello smaltimento in discarica di 2’ categoria di Tipo A, il loro codice italiano rifiuto ( CIR ) era: M0001;

    non vi era  nessuna esclusione dalla applicazione della legge sia ai fini dello stoccaggio temporaneo (oggi chiamato : deposito temporaneo)  che del trasporto e smaltimento finale in discarica; non era ancora previsto ed autorizzato il riutilizzo/recupero se non fino all’avvento dei ben 18 DD.LL sui residui destinati al riutilizzo ( anni 1993 -1997), con i quali è stato ammesso il recupero nel rispetto di determinate condizioni dettate dal dm 05/09/1994 (in attuazione dell’art. 2 – esclusioni comma 3  del  DL 438/94 ) (1) , al cui allegato 1 elencava le tipologie di materiali-rifiuti, quotate nelle borse merci (mercuriali), e permetteva di commercializzare tali residui, tra i quali i materiali inerti quotati presso la borsa merci di Milano, costituiti da “materiali  inerti di natura lapidea provenienti da demolizione e costruzione privo di amianto, sfridi e rottami di laterizio, intonaci, calcestruzzo armato e non, purché proveniente da idonei impianti di trattamento”. rispondenti alle caratteristiche merceologiche (e non tecniche) delle materie prime.

     

    Terre e rocce da scavo nel Dlgs 22/97

     

    Con  l’entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi, i rifiuti inerti  derivanti da demolizione, costruzione , nonché i rifiuti pericolosi che derivano da attività di scavo vengono classificati ( art.7 comma 3 ) rifiuti speciali; subito dopo l’art. 8 – Esclusioni – comma 2 lett c) prevedeva l’esclusione dalla normativa rifiuti per i materiali non pericolosi che derivano dall’ attività di scavo;

     

    Pertanto le terre da scavo erano escluse dalla normativa rifiuti.

    Tale esclusione fu contestata dalla Commissione Europea, che obbligò il legislatore Italiano ad emanare il Dlgs 389/97, che, con l’art.1, abrogava la lettera c) comma 2 dell’art.8 del Dlgs 22/97;  Le terre e rocce da scavo tornarono così ad essere assoggettate alla normativa sui rifiuti .

    La confusione sorge nel momento in cui ci si accorge che, il legislatore ha abrogato la prevista esclusione, riassoggettando così le terre da scavo (pericolose e non ) alla normativa rifiuti, lasciando però in vigore (e lo era sin dalla prima versione) la lettera b) comma 3° dell’art. 7 (Classificazione), nel quale sono presenti, unitamente ai rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, (nonché) i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo;   

    una veloce interpretazione indurrebbe a pensare che solo i rifiuti pericolosi che derivano da attività di scavo siano assoggettati alla normativa rifiuti, mentre i rifiuti non pericolosi provenienti da una attività di scavo non siano sottoposti alla normativa rifiuti,  per la semplice ragione che  non sono classificate, o meglio, non sono elencate tra le attività di provenienza dei rifiuti, provenienza che determina la sola classificazione del rifiuto in speciale o urbano, anche se l’elenco dei rifiuti  (trasposto dalla decisione europea 94/3/CE del 20/12/1993 ) di cui all’allegato A al Dlgs 22/97 riporta le terre e rocce da scavo al gruppo 17 05 (2)  terra (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), rocce e fanghi di dragaggio;     

    è pur vero che, come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia Europea e riportato per trasposizione della direttiva  94/3/CE, nell’allegato A2 – nota  introduttiva (catalogo) del Dlgs  22/97, un materiale non può essere considerato rifiuto per la semplice appartenenza nell’elenco, ma dovrà soddisfare la definizione di rifiuto, ovvero dovrà  trattarsi di un materiale di cui il produttore-detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi(3);

    per inverso una sostanza, ancorché non figurante dell’elenco, potrà essere qualificato giuridicamente un rifiuto in quanto abbandonato o destinato ad operazioni di smaltimento o di recupero.

    Non si è fatta aspettare la prima sentenza della cassazione ( sez. 3 11 febbraio 1998 n 1654 Verrastro )  – I materiali provenienti da demolizioni e scavi costituiscono rifiuti speciali a norma dell’art.2 comma 4 n 3 DPR 915/82 e scaricarli in un’area determinata attraverso una condotta ripetuta anche se non abituale e protratta per lungo tempo, configura quella realizzazione o gestione di discarica, per la quale è richiesta l’autorizzazione di cui all’art. 6 dett. d)-  cit. decreto . ( massima in banca dati Jus-Lex CELT ) .

     

    Nel Luglio 2000 il Ministero Ambiente e Territorio emanava una circolare  (n UL/2000/10103) “Applicabilità del Dlgs 22/97 alle terre e rocce da scavo”  (si ricorda, a tal proposito, che una circolare non ha forza di legge ed è priva, quindi, di valore e forza giuridica) con la quale il ministero intendeva chiarire se le terre e rocce da scavo ricadessero o meno  nella sfera giuridica dei rifiuti, se “soddisfino la definizione di rifiuto di cui all’art. 6 Dlgs 22/97 " ed in particolare chiarire se la normativa rifiuti debba o meno  essere applicata solo ed esclusivamente a terre e rocce da scavo  se pericolose,  in quanto classificate rifiuti speciali a norma dell’art 7 comma 3  Dlgs 22/97 :  “sono considerate  rifiuti le terre e rocce da scavo che presentino concentrazioni di inquinamenti superiori ai limiti accettabili del Dm 471/99  e vengano sottoposte o destinate al normale ciclo di utilizzo della terra quali, a titolo esemplificativo, la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali, rimodellamenti morfologici, l’impiego in attività agricole, riempimenti ecc. il produttore non si disfa né decide di disfarsi di tali materiali e questi ultimi non sono rifiuti. ….Infatti, nel caso specifico viene meno il requisito essenziale per qualificare un materiale o un oggetto come rifiuto perché lo stesso non viene destinato né ad operazioni di recupero né di smaltimento. Infine, per quanto riguarda la possibilità di utilizzare direttamente le terre da scavo nel sito dove le stesse sono prodotte, si rileva che tale opzione per sua natura non comporta né un disfarsi nel senso sopra esposto né alcuna modifica qualitativa delle caratteristiche del sito. Si ritiene, perciò, che tale utilizzo non sia sottoposto al regime dei rifiuti ma possa essere effettuato sulla base degli elaborati progettuali relativi all’intervento che produce le terre da scavo medesime, salvo, in ogni caso, l’obbligo di procedere alla bonifica ai sensi dell’art. 17 e del D.M. 471/99 qualora ne ricorrano i presupposti.".

    Tale nota del ministero fu contestata dalla giurisprudenza e dalla dottrina per diversi e ragionevoli motivi di contrasto normativo  e per mancanza di forza legislativa nel momento in cui il parere ministeriale tenta di dare interpretazione legislativa sulla nozione di rifiuto, in merito al: “fatto di disfarsi – decisione di disfarsi e obbligo di disfarsi”  –  dibattito tutt’ora aperto !!  

    La Corte di Cassazione III sez. Penale con sent. del 24/8/2000 n 2419 – interviene  definendo comunque rifiuto le terre e rocce da scavo anche quando queste non siano pericolose, e lega la definizione di rifiuto alla semplice volontà e fattiva destinazione del “bene” all’abbandono;  definisce un  "mancato coordinamento" della normativa  italiana attraverso la  soppressione dell’art.. 8 comma 2 (Dlgs 389/97) con le direttive ed indirizzi Europei nelle quali, “il sistema di sorveglianza e gestione istituito dalle direttive CE in materia si deve intendere riferito a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfi , anche se essi hanno un valore commerciale a fini di riciclo , recupero o riutilizzo , che, di conseguenza il Dlgs 389/97 ha recuperato nell’alveo  della normativa generale sui rifiuti anche i materiali non pericolosi derivanti dall’attività di scavo"   stabilisce inoltre che: Rientra nella nozione di rifiuto di cui all'art. 6 D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, ove il detentore se ne disfi o abbia l'obbligo di disfarsene, il materiale di risulta dello scavo di un traforo, in quanto riconducibile alla categoria residuale di cui al punto Q16 dell'allegato A del predetto decreto 

    L'intervento del Legislatore non si fa aspettare ed emana la Legge n 93 del 23 marzo 2001, al cui art. 10 stabilisce le modifiche da apportare all’art 8, 41 e 51 del Dlgs 22/97:

     

    All’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, dopo la lettera f), sono aggiunte le seguenti:

    «f-bis) le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti; f-ter) i materiali vegetali non contaminati da inquinanti in misura superiore ai limiti stabiliti dal decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto».  

    Tale articolo di legge appare da subito fuorviante in quanto,  l’inserimento della novella normativa tra le esclusioni di cui all’articolo 8 comma 1 del Dlgs 22/97, presupponeva la presenza di una normativa specifica per le terre e rocce da scavo, che non c’è; come fatto notare da diversi autorevoli esperti di settore, sarebbe stato sufficiente inserire la disposizione di legge in un contesto diverso di cui al comma 1 dell’art. 8, ad  esempio  al comma 2, fatte salve le inevitabili osservazione della CE; infatti l’art. 8 stabilisce l’esclusione dall’applicazione della normativa rifiuti degli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera e di altre tipologie di rifiuti purché disciplinati da una normativa specifica  <<disciplinati da specifiche disposizioni di legge >> di settore cosi come presente per le tipologie di rifiuti quali:

    a) i rifiuti radioattivi;

    b) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;

    c) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell'attività agricola ed in particolare i materiali litoidi o vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli  

     

    d)  ( lettera soppressa dall'articolo 1, comma 8, Dlgs 8 novembre 1997, n. 389.)

     

    e) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido;

    f) i materiali esplosivi in disuso;

     

    Pertanto, alla confusione iniziale si aggiunge quella interpretativa  sulla validità o meno della nuove lettere f- bis) ed f-ter) all’art.8  , se tale effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati si riferisca allo stesso luogo di provenienza o possa essere destinato anche a  i luoghi  diversi, se la contaminazione delle terre debba o meno essere dimostrata con analisi chimica per la rispondenza ai limiti di accettabilità stabiliti con il DM 471/99 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del  Dlgs 22/97.)

     

    A causa delle difficoltà interpretative sopra accennate, il legislatore interviene con la c.d. “Legge Lunardi” , legge n 443 del 21 dicembre 2001 "Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive"  dando interpretazione legislativa  agli articoli 7 e 8 del Dlgs 22/97 , o meglio all’art. 7 – Classificazione – comma 3 lett. b)   : Sono rifiuti speciali: ……. b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo;       e all’art. 8 – Esclusioni – lett. f-bis)  : le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.

    L’interpretazione viene data all’art. 1 commi 17 , 18 , 19 :

     

    17. Il comma 3, lettera b), dell'articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis) dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.

    18. Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.

    19. Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato.

     

    L’interpretazione data in questo caso dal legislatore  intende recuperare all’errore fatto con la legge 93/2001 , dando adesso una vera e propria definizione per mezzo di una legge, delle terre e rocce che non costituiscono un rifiuto, stabilendone le condizioni:  qualora, pur non superando i limiti di accettabilità (riferiti all’intera massa ), siano destinati all’effettivo riutilizzo presso anche altri siti diversi da quelli di provenienza e purché autorizzati  dall’autorità amministrativa;

    purtroppo la legge 443/2001 non ritocca minimamente gli errori fatti con la Legge 93/2001, essa non rivede l’art. 8 – Esclusioni – e art. 7 – Classificazione – del Dlgs 22/97 ,  restano tali e permangono le confuse interpretazioni  , l’operatore si ritrova davanti a se un quadro normativo talmente confuso che  allo stesso tempo è strumento per una  idonea  e agevole soluzione  per  raggirare l’ostacolo della normativa rifiuti ;   

    A questo punto risorge il problema mai risolto di cosa è rifiuto, se la normativa e le diverse sentenze della Comunità Europea debbano o meno essere prese in considerazione;

     

    Le terre e rocce provenienti da una fase di escavazione, se sono destinate a reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche se destinati a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato, sono escluse dalla normativa rifiuti anche se contaminate da sostanze pericolose , ma sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti  riferibili ( gli inquinanti ) alla intera massa riutilizzata magari anche previo miscelazione (non esclusa) con altre tipologie o terre incontaminate portando così i risultati analitici alla rispondenza dei parametri di legge .

    Non chiaro il concetto di "effettivo utilizzo" dato dal comma 19, viene usato  il termine "ricollocazione"  ed il termine "rimodellazione", quali fasi sottoposte alla autorizzazione dell’autorità amministrativa ( es: Comune ) senza stabilire le norme tecniche di riferimento per meglio definire le differenze che vi sono con la formazione di rilevati e sottofondi stradali o utilizzo per recuperi ambientali di ex cave,  attività  quest’ultime di recupero disciplinate dal Dm 05 febbraio 1998 –   che non sembrano molto distanti dalla rimodellazione e ricollocazione:  quest’ultima possibile anche "in altro sito (?) ed a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente" .

     

    Sulla base di tali impostazioni normative, ci si chiede quale è la formula giuridica e la prassi amministrativa perché una sostanza o bene  – in tale caso terra e rocce da scavo – possa non ricadere nella sfera giuridica di rifiuto, pur destinandola ad “effettivo utilizzo” ai sensi della Legge 443/2001 , nelle modalità di riutilizzo contemplati nella normativa rifiuti , e come e a chi ci si possa dichiarare  estranei dalla normativa rifiuti, onde evitare contestazioni da parte della autorità giudiziaria, partendo dal presupposto che come più volte affermato dalla Corte di Giustizia Europea, la nozione di rifiuto non deve intendersi che essa escluda le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, o che vengono riutilizzati in analogo o diverso ciclo di produzione, affermazioni disattese dalla nostra legge 178/2002 sulla interpretazione autentica ( tutta italiana ) della definizione di "rifiuto" .

    Chiaro è che costituiscono rifiuto le terre e rocce destinate all’abbandono indiscriminato e all’abbandono incontrollato fino alla formazione di una vera e propria discarica abusiva e tutto ciò che non è  terra e rocce da scavo  ma  ad es. rifiuti da demolizione costituiti da materiali edili da costruzione  o da escavazione stradale per la presenza eterogenea e di altri materiali estranei alle terre e rocce quali: l’asfalto.

     

    Luca D'Alessandris
    Responsabile tecnico gestione rifiuti
    Consulente problematiche ambientali

    NOTE

    1) D.L. n 438 del 08/07/1994 “ Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti “

    2) nella prima versione indicato con il CER 17 05 01  e successivamente dal 1°gennaio 2002 è indicato con il CER 17 05 04 , tra l’altro codice “speculare” in quanto è prevista una tipologia pericolosa -CER 170503* , contaminata da sostanze pericolose, proveniente prettamente da bonifiche di aree inquinate

     

    3) art. 1 comma 1 lett. a) della  direttiva 75/442/CE