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Cermis e India, similitudini e differenze

Per decenni abbiamo criticato ferocemente gli odiosi e arroganti americani quando sottraevano i loro militari dal giudizio dei giudici dei paesi dove questi avevano commesso qualche crimine, vero o presunto. L’incidente del Cermis che, per placare l’opinione pubblica italiana, reclamava un bel processo celebrato in un tribunale italiano, ne è l’esempio classico.

La certezza di non  essere abbandonato in balia di uno stato straniero e potenzialmente ostile, la certezza di non essere giudicato in base ad una legislazione che non conosce e di non essere condannato da una magistratura che potrebbe scaricare su di lui il livore accumulato contro l’imperialismo Americano, è la base dello stretto legame che unisce il militare americano al suo Paese e lo induce a servirlo in ogni angolo recondido del mondo, pronto a sacrificare la sua stessa vita ma certo che il suo Paese non lo abbondonerà mai, nemmeno da morto.

Questo è in poche parole il “contratto” : io Governo degli Stati Uniti ti spedisco in giro per il mondo per curare i miei interessi, in cambio ti assicuro che dovrai rispondere solo a me del tuo operato, persino quando sbagli per imperizia, per negligenza, per colpa e persino per dolo.

Questo è altresì il  motivo per cui gli Stati Uniti hanno sempre detto No ai tribunali internazionali.

Noi invece mandiamo due nostri marò su una nave mercantile (e già qui ci sarebbe tanto da obiettare; come si può mandare qualcuno allo sbaraglio senza dargli i mezzi per proteggersi e per portare a termine la sua missione?), poi quando questi commettono un presunto crimine li consegnamo codardamente alle autorità locali, salvo poi piangere lacrime di coccodrillo e attivare una poderosa quanto tardiva e inconcludente macchina diplomatica.   

Quei marò in mani indiane non avrebbero mai dovuto finirci: la nave avrebbe dovuto fare subito rotta verso un tratto di mare dove far convergere velocemente ogni assetto militare italiano disponibile. Messi al sicuro i marò, la magistratura militare italiana avrebbe dovuto svolgere una accurate inchiesta e, se da essa fossero emersi elementi incriminanti, celebrare il processo e condannarli all’ergastolo se necessario.  

Questo fa un paese serio. Ma l’Italia, lo sappiamo, paese serio non è. Nemmeno adesso che non c’è più il giullare alla presidenza del Consiglio dei Ministri, nemmeno adesso che c’è l’ammiraglio Di Paola al dicastero della difesa l’Italia può definirsi un paese serio.

Salvatore

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