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“Magazzino 18” di Simone Cristicchi

E dire che il geniale, umanissimo cantore degli ermarginati, dei dimenticati, dei vinti non aveva avuto vita facile nel preparare questo spettacolo, a causa del tema scelto: l'esodo dei giuliano-dalmati costretti ad abbandonare la propria amata terra in un quadro di violenze e sopraffazioni (quando non fu di morte). Aspre critiche erano provenute contro di lui da quegli ambienti della sinistra che coltivano con passione, ancora oggi, lo spirito della guerra civile e che vedono, in ogni barlume di sentimento patrio, pericolose nostalgie nazifasciste. Qualche critica preventiva era anche giunta da chi tra i rappresentanti degli esuli sostiene una linea poco indulgente nei confronti dei "rimasti", da loro sospettati di dichiararsi italiani – oggi  –  per pura convenienza.

Qual è il segreto dello straordinario successo di "Magazzino 18"? I sentimenti, l'umanità, la genialità, l'arte, la vera arte che prescinde totalmente dal discorso "partitico". Cristicchi: "Mi sono lasciato guidare dall’istinto, ho scelto tra le mille storie in cui mi sono imbattuto, trovando quelle a me più affini. Alla fine non ho preso la parte di nessuno, racconto la storia dell’esodo, anche se io sono sempre dalla parte di chi non ha voce, di chi è nel silenzio, come provano i miei precedenti lavori." Respingendo la politicizzazione di quei lontani eventi, Cristicchi si è aperto senza preclusioni etniche o ideologiche a tutti coloro che subirono e soffrirono.

In Italia, la politicizzazione ad oltranza investe ogni evento che da vicino o da lontano sia suscettibile di essere inserito in un quadro ideologico. E nella penisola tutto è ideologia, tutto è politica… Immaginarsi quindi i forti tabù esistenti nella penisola al riguardo degli eventi della seconda guerra mondiale, i quali indubbiamente smentiscono la vulgata del "lieto fine" della guerra con le acclamate liberazione e  la vittoria sulle forze del male. Perché, in realtà, l'Italia subi' un'amputazione territoriale, di cui noi esuli siamo i testimoni viventi: essa perse le nostre amate della sponda orientale dell'Adriatico, cedute dalle potenze vincitrici alla Jugoslavia e finite sotto lo zoccolo del comunismo. Nessun gioco di bussolotti potrà mai cambiare questo fatto. Eppure ancora oggi si vuole continuare a guardare attraverso la lente deformante di una politicizzazione ad ogni costo quegli avvenimenti di cui fu vittima un'etnia intera colpevole d'"italianità" e che pagò da sola il prezzo della sconfitta.

Ed ecco che avanza in scena Simone Cristicchi, mosso da spirito di umanità, e anche di curiosità verso questa pagina rimossa dai nostri libri di storia. Avanza in scena con passo lieve, senza secondi fini, al di sopra delle "querelles", risentimenti, pregiudizi ideologici. Bisogna dire che il nostro Simone, geniale autore dell'"Italia di Piero", tutt'è fuorché un cittadino in regola di quest'Italia dell'esagerazione, dell'esibizionismo, dell'urlo fazioso: "l'Italia di Piero"; rappresentata, purtroppo, molto bene anche da un Benigni, il quale ama pavoneggiarsi nelle vesti di geniale comiziante da tribuna di stadio, questo terreno ideale della faziosità italiana dove al gol fatto dalla propria squadra corrisponde automaticamente un gol subito dalla squadra avversaria. Per Cristicchi, invece, in quella tragica partita tutti noi subimmo dei gol, e nessuno di noi vinse lo scudetto.

Ed ecco che grazie a questo cantante-attore, magnifica espressione di concordia, umanità, autenticità, e genialità artistica, sulle tavole del palcoscenico e nell'intero teatro triestino è apparsa un'Italia che non è un'Italia da stadio, perennemente divisa tra due squadre nemiche, ma un'Italia che vuol ricomporre il suo passato, in nome di un destino collettivo cui nessun partito, fazione,  parrocchia, campanile della penisola, pur volendo, riuscirà mai a sottrarsi…

Claudio Antonelli (Montéal)

 

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