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“Sport/cultura” e violenza: le riflessioni di Saro Borgia

La pratica dello sport, da sempre, suscita reazioni esorbitanti, che sfociano spesso in atteggiamenti enfatizzanti, in maniera smisurata, la naturale passione agonistica su cui essa si fonda e che si rappresentano, nell’odierno contesto sociale, in modo non consono alla natura umana; di frequente tali comportamenti deplorevoli risultano venati di manicheismo esasperato, di spirito discriminatorio, individualistico, incline spesso alla violenza, indisponibile al pacato confronto, e al giusto riconoscimento dell’avversario del momento come soggetto sociale meritevole di pari dignità e pari opportunità di successo.

Gli incresciosi e ingiustificabili atti di violenza che si registrano periodicamente sono drammatica e inquietante testimonianza della continua e grave perversione dei sentimenti sportivi delle giovani generazioni, lasciate, dalla società civile, prive di corrette stimolazioni formative l’autentico spirito sportivo, e poco o punto indirizzate verso mete comportamentali socialmente condivisibili.

Tale fenomeno degenerativo viene parzialmente “contenuto” dallo sforzo intenso del sano associazionismo sportivo e, soprattutto, dall’impegno, oltremodo apprezzabile, del Panathlon di Latina, (presieduto dal solerte e dinamico dr. Massimo Zichi), il cui statuto, nei suoi ammirevoli aspetti teleologici, tra cui spiccano per rilevanza etica e sociale le istanze del “Fair Play” e dell’“educazione sociale”, presuppone una saggia politica “informativo-performativa” capace di suscitare nei giovani piena disponibilità ad assumere tempestivamente regole di vita autenticamente sportive per poi, con autonomi processi “riflessivo-speculativi”, tradurle – originalmente e creativamente – in atteggiamenti e pratiche coerenti con la consolidata tradizione olimpica. Legittimità delle istanze poco sopra richiamate, che trovano la loro scaturigine nei diritti della persona e nella natura della vita democratica, appare di tutta evidenza, soprattutto nell’attuale momento storico, che registra disorientamento nel popolo giovanile, turbamento nelle persone attente allo sviluppo della autentica cultura sportiva, e angoscia in quanti temono un’ulteriore diffusione di reazioni improprie ad esiti sportivi non corrispondenti alle aspettative di gruppuscoli di ragazzi esagitati che sfogano le loro delusioni con gesti di violenza bruta e irrazionale!

Pur essendo “figlio” della democrazia, come affermava sarcasticamente anche Karl Kraus in uno dei suoi aforismi, lo sport, nelle sue espressioni esasperate, contribuisce all’ “istupidimento delle genti”, quasi una droga che ottenebra la ragione, e dà voce alle inclinazioni meno nobili dell’essere umano!

Paradossalmente la democrazia, se non correttamente edificata e vissuta, con la sua libertà introduce elementi incontrollabili, quali il business, il doping, e gli eccessi delle tifoserie su cui mi soffermerò in seguito. C’è da aggiungere ancora, e in via preliminare, che lo sport in genere, e il gioco calcio in particolare, idolatrato oltre ogni misura, inibisce spesso i dialoghi familiari, inaridisce i rapporti amicali, in quanto l’attenzione viene fatalmente concentrata sul piccolo schermo televisivo dove scorrono le immagini della solita partita di calcio, emblematico esempio di “sport seduto”, ancorché mentalmente ed emotivamente partecipato.

Was machen? Che fare dunque?

Incoraggiare tutte le iniziative innovative e generose dell’associazionismo, delle scuole, e delle altre agenzie di socializzazione non meno rilevanti, per promuovere progetti mirati di diffusione dello sport come vera e autentica cultura esistenziale, affrancandolo dallo spettacolarismo esasperato, dalle strumentalizzazioni di non pochi operatori commerciali/industriali che, per scopi non certo disinteressati, utilizzano tale forma di vita ludica per soddisfare la loro vocazione mercantile, di per sé condivisibile e necessaria per il benessere economico della società, ma che, se impostata come paravento nel mondo sportivo di interessi esclusivamente soggettivi, rischia di provocare esiti nettamente in contrasto con i nobili ideali che governano e disciplinano l’intero sistema sportivo!

Pertanto, l’attività sportiva deve necessariamente essere preceduta da una rigorosa e motivata educazione alla sportività, che, coerentemente alla sua intrinseca natura e al suo statuto pedagogico, si prefigga di sottrarre i giovani dalle suggestioni perverse e malefiche, pur presenti – ahinoi ! – nell’affascinante mondo dello sport dilettantistico e professionistico.

Alludo, come è agevole arguire, alle dimensioni deleterie meglio note come pragmatismo economico, divismo, illusione di guadagni sproporzionati alle effettive prestazioni, successo sociale, ancorché spesso effimero, precocismo deleterio ecc.ecc.: tentazioni non facilmente controllabili e razionalizzabili dalle menti dei preadolescenti, la cui naturale fragilità psicologica li rende facilmente vulnerabili.

Da qui, la viva esigenza di diffondere in ogni comunità giovanile, dalla scuola di base ai licei, la cultura del” Fair play”, che rappresenta il “core curriculum” di ogni progetto formativo propedeutico alla formazione integrale della personalità e, quindi, dell’autentico sportivo generoso, altruista, che riconosce nell’avversario del momento solo e soltanto uno stimolo al confronto leale e un’opportunità esistenziale ludica e gioiosa per il reciproco arricchimento umano.

Non a caso Il Panathlon di Latina, in questi ultimi lustri, per decisione unanime dei suoi motivati dirigenti, ha investito tutte le sue risorse cultural-speculative e organizzative per garantire alla comunità pontina felici e stimolanti opportunità educative finalizzate all’assunzione di stili di vita coerenti con lo spirito olimpico che da secoli orienta, e dovrà orientare sempre in futuro, gli atleti e gli appassionati del settore verso mete comportamentali leali, franche, e aperte al confronto, nella prospettiva della graduale costruzione di una società aperta, nel cui ambito la pratica sportiva, coniugata con la cultura antropologica, e corroborata dalla riflessione estetico-filosofica più autorevole abbia necessariamente e finalisticamente lo spazio giusto per l’esaltazione delle virtù morali, e civili, che trovano, nel nobile concetto esistenziale del “Fair Play” i punti cardinali di riferimento, da cui non è lecito prescindere, pena la volgarizzazione/banalizzazione della pratica sportiva, e la conseguente degenerazione dell’agonismo in esasperato protagonismo ed egotismo.

Per l’assunzione tempestiva dell’abito del” Fair play”, che deve essere prospettato e offerto alle giovani generazioni con rigore espositivo( fondato anche su preclare ed emblematiche, oltrechè suggestive, testimonianze reali e storicamente rappresentabili, senza improvvisazioni e senza superficialità, come se si trattasse di questioni solo formali, superficiali, d’immagine e non piuttosto di sostanza), occorre essere consapevoli del suo alto valore umanizzante e della sua intrinseca struttura, costituita, come acclarato dalla più autorevole riflessione pedagogica, dalle seguenti componenti, tutte di eguale rilevanza didattica e tutte meritevoli di trattazione in quanto funzionali alla costruzione del profilo dell’autentico sportivo:

a)      self-realisation(crescita autonoma; piena realizzazione dell’io);

b)      human relationship(comportamento leale);

c)      efficiency (reale ed effettiva capacità che si traduce in iniziative gratificanti);

d)      civic responsability (scrupolo rigoroso nel rispetto delle regole).

Se si prescinde dal summenzionato ventaglio di componenti, anche solo trascurandone alcune, gli esiti non potranno non essere parziali e lo stile del”Fair play” sarà ridotto ad una maschera, non certo accattivante per i giovani dell’epoca presente, il cui noto spirito critico, misto a severità intellettuale, non tollera pseudo-valori, che sanno di ipocrisia e/o di formalismo comportamentale più adatto per “apparire”, che per “essere”!!!!

A mio avviso, e pare ad avviso generale, si tende, oggigiorno, a trascurare tale orientamento formativo, adottato con abnegazione da quanti hanno veramente a cuore le sorti dei giovani e il futuro dello sport-cultura e ci si limita, nei migliori dei casi, a iniziative pedagogiche fondate sulla buona volontà, prive di rigore scientifico e sviluppate solo e soltanto per rispondere in qualche misura, tacitando la propria coscienza professionale, all’unanime e generalizzata richiesta di “educazione/formazione integrale” promanante dalla società civile avvertita, e attenta alla sviluppo di comportamenti sportivi coerenti con la nostra tradizione umanistica e personalistica.

Tale disattenzione, per usare un eufemismo, forse è generata anche da spinte esterne e interessi subdoli, che noncuranti del significato originario dello sport e dei relativi valori etici, sociali, filosofici ad esso intimamente correlati, tendono a esasperare il gesto sportivo, esaltando, oltre ogni misura, lo spirito agonistico, eccitando gli animi allo scontro, anziché all’incontro di due volontà, entrambe legittimamente protese all’affermazione senza l’implicita negazione dell’occasionale antagonista.

A fronte della precaria e contraddittoria situazione, sopra delineata, il tenace e ammirevole sforzo civile delle agenzie sociali, a cui faccio riferimento spesso, appare effettivamente poco risolutivo per le ragioni che di seguito, ancorché in maniera impressionistica, tenterò di specificare.

E’ pur vero che il “gioco-sport”, e in particolare lo sport agonistico, per sua natura, si impone come un “ fatto totale”, che coinvolge tutto l’essere, nessuna dimensione esclusa; pertanto, ogni sua interpretazione viene ad essere fatalmente condizionata da forti pressioni emotive, che, se non saggiamente controllate, tendono a dare alle riflessioni su tale tipica e naturale “attività umana” caratteristiche estreme e radicali, oltrechè oppositive e inconciliabili.

E’ dato registrare, infatti, opinioni forti e spesso non condivisibili, orientate a interpretare lo sport come una forma di “pseudo-vita”, isolata, artificiale, portata alla semplificazione, alla banalizzazione dei rapporti interpersonali e delle connesse problematiche sociali, con gli effetti perversi che sperimentiamo di frequente in occasione di eventi sportivi di una certa rilevanza.

Piccoli agguerriti gruppi di individui costituenti “micro-società” semplificate sia nel linguaggio adottato, oltremodo gergale, sia nelle abitudini sociali, con “pseudo-ideali” sportivi che traducono rozzamente tali indirizzi interpretativi in atti di violenza, fine a se stessa, che talvolta provoca vittime innocenti e rilevanti danni materiali, oltre a suscitare nell’opinione pubblica un certo disamore per lo sport in genere( e ciò è ancora più deleterio ai fini della promozione e diffusione della cultura sportiva autentica), vanificano l’encomiabile missione pedagogico-culturale promossa e realizzata con passione civile dalle intraprendenti e motivate comunità di volontari qui spesso evocate.

Tale orientamento, per fortuna non prevalente, appare, anche alla luce del buon senso, in netta ed evidente contraddizione con i valori pedagogici, sociali e civili del gioco-sport, le cui finalità, sin dal suo esordio nel mondo greco, culla della civiltà occidentale, risultano essere oltremodo funzionali alla costruzione di un uomo retto, equilibrato, capace di affrontare le dure prove della vita con ponderazione, approfondite e meditate riflessioni, spirito critico, naturale oblativa solidarietà nei confronti degli altri, specialmente se offesi da menomazioni fisico-psichiche che ne limitano gli orizzonti operativi e partecipativi.

E’ necessario, dunque, riportare la pratica sportiva, e la cultura sociale ad essa intimamente collegata, nell’alveo della tradizione che attribuiva a tale gioiosa, gratuita, originale modalità espressiva senso e pregnanza etica tale da qualificare(attraverso opportuna educazione alla sportività) il soggetto come individuo predisposto e disponibile alla lealtà, alla fratellanza, alla generosità, alla pietà e, soprattutto, all’accettazione incondizionata dell’altro da sé; caratteristiche queste antropo-sociologiche previe per la” storicizzazione” puntuale dei pensieri e delle azioni di ciascun attore operante all’interno della collettività umana.

Le degenerazioni poco sopra adombrate suscitano viva preoccupazione in chi ha veramente a cuore le sorti delle giovani generazioni; in chi auspica una graduale mutazione/conversione del “soggetto individuo” orientato..naturaliter… all’individualismo esasperato, in “soggetto persona” autonoma, tollerante, socialmente matura di cui oggigiorno si avverte tanto bisogno!

Gli effetti perversi, certamente non voluti, a cui qui faccio riferimento, in un contesto sociale multietnico e policulturale, provocano fenomeni psicologici che non aiutano a superare, col dovuto slancio umano, le barriere antropologiche, razziali, ed economiche che di fatto esistono per le ben note dilacerazioni diacroniche che nel corso degli ultimi secoli, in particolare nel ‘900(secolo delle idee assassine!!), hanno spesso fatto prevalere scopi e fini fondati sul privilegio esclusivo delle elites, sulla discriminazione, sul nazionalismo esasperato, sulla distinzione dei popoli; alle corte: sul benessere di pochi fortunati- privilegiati dalla storia – a fronte del “malessere” dei deboli, degli emarginati, delle persone” senza voce”, senza diritti, fatalmente e inesorabilmente schiacciati dalla storia!……

Tale responsabile e motivata consapevolezza ha fatto nascere, nel corso del XX secolo, istanze di interculturalità, che inizialmente hanno assunto fatalmente una connotazione banale e superficiale; il concetto nuovo, di per sé significativo, veniva assimilato ad una sorta di atteggiamento spontaneo, di pertinenza di ogni individuo di buon senso. Si riteneva, e si ritiene tuttora, fosse sufficiente stimolare nei popoli una mentalità cosmopolita.

Come è agevole sperimentare e verificare, la soluzione adottata, peraltro con una certa dose di approssimazione e di improvvisazione, per la scarsa maturità culturale e politica dei tempi, è risultata essere alquanto riduttiva; l’autentico significato di “ interculturalità”, ( a cui non può essere estranea la cultura sportiva, il cui linguaggio universale favorisce i dialoghi tra gente di lingua diversa), è ovviamente più articolato, più ricco di spunti esistenziali, più calibrato sulla “persona” con la sua dote naturale di vocazioni: sociali, solidali, comunitarie notoriamente preludenti a iniziative affatto funzionali alla costruzione di mentalità aperte; anziché sull’ “individuo” di per sé tendenzialmente proiettato alla soddisfazione delle sue istanze egoistiche e/o, nella migliore delle ipotesi, disponibile ad assumere, in date circostanze, atteggiamenti “ compassionevoli”!

Un soccorso speculativo e chiarificatore può essere garantito dalla cultura sportiva, ben orientata, e scientificamente fondata sulla aurea tradizione olimpica(nihil innovetur nisi quod traditum est!!), e arricchita dei valori morali ed etici che si sono affermati e consolidati nel corso evolutivo della nostra civiltà.

Non a caso le agenzie di socializzazione collaterali al mondo dello sport praticato, sia dilettantistico, sia professionale agonistico, nel cui ambito, di solito, è dato cogliere un apprezzabile interesse per la ricerca, per lo studio dei fenomeni sportivi finalizzati a preservare tale “ ludica manifestazione dell’essere al mondo” da deviazioni, esasperazioni, che spesso degenerano in violenze assurde, da tutti deprecate e mai significativamente combattute, risultano intensamente impegnate a valorizzare gli aspetti positivi pur presenti, integrandoli con stili di vita improntati al” Fair play”, al riconoscimento dell’avversario del momento come partner con cui condividere le gioie e le sofferenze dell’atto sportivo, nella consapevolezza, tipica della cultura sportiva anglosassone, che” il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani; e lo sconfitto di oggi sarà il vincitore di domani!

Si deve proprio al diuturno e costante impegno culturale e sociale delle istituzioni e delle associazioni, spesso fondate su un sano e ammirevole volontariato, e all’esempio preclaro di virtù olimpiche di molti sportivi, se le perversioni che, purtroppo, ancora oggi è dato registrare non prevalgono sulle pratiche sane, leali di gioco-sport, fonte di elevazione morale e civile dei cittadini.

Come mi pare di aver fin qui sufficientemente chiarito anche la dimensione dell’interculturalità, se originale e correttamente intesa, deve sussumere e far propria la valenza pedagogico-sociale della pratica sportiva; il Panathlon di Latina, per intima vocazione civile, per sensibilità culturale e politica, ha investito e investe tuttora notevoli energie, riuscendo a contemperare le istanze interculturali con quelle della cultura sportiva, nella piena consapevolezza, ormai ampiamente corroborata da esperienze di eccellenza nel mondo, che lo sport, per il suo linguaggio gestuale-simbolico universalmente condiviso, elimina le differenze razziali, esalta la solidarietà tra i popoli, e configura una comunità aperta e democratica, al cui interno è dato a tutti di esprimere la propria personalità secondo i talenti individuali in spirito di concordia, per la pace universale, tanto auspicata dagli uomini di buona volontà!

La condivisibile e apprezzabilissima politica del Panathlon nazionale di diffondere nel mondo, ora anche nel continente africano, bacino di “culture altre”, oltremodo significative, una mentalità favorente la piena comprensione ed esaltazione delle capacità effettive individuali e collettive rappresenta una viva testimonianza del fervore operativo che deve essere ulteriormente incoraggiato, sostenuto in tutte le sedi e che deve necessariamente vedere coinvolte, in maniera concreta, tutte le istituzioni politiche, culturali, economiche del “villaggio globale”, per la graduale edificazione di un

“nuovo umanesimo”!!.

Pertanto, occorre urgentemente attivarsi, ad ogni livello, per suscitare, con opportune stimolazioni, una preliminare operazione culturale pervasiva e intensiva, che generi all’interno della comunità il vero superamento dei particolarismi, e delle artificiose separazioni.

Faccio riferimento ad una concezione autenticamente innovativa, che va costruita attraverso modalità operative socializzanti(scuole, associazioni, comunità, parrocchie, e, non ultimi, gli enti locali rappresentano ovviamente i luoghi privilegiati e specializzati, oltrechè competenti, per corrispondere a tale ambiziosa aspirazione largamente condivisa)e ciò allo scopo precipuo di riconoscere primariamente la propria identità personale, e le reali possibilità psico-fisiche, premessa questa d’ordine bio-psicologico che consente di conoscersi (noverim me) e poi ri –conoscere(noverim te) nel partner occasionale, qualunque sia la sua provenienza e l’appartenenza, uguali diritti e doveri e uguali opportunità di “vittoria”, come responsabilmente ho ripetutamente evidenziato nel corso della presente trattazione.

E’ necessario pure annotare che le diversità interpretative e le impressioni che scaturiscono di solito dal senso comune circa il valore sociale e politico ( ambito della ragione autoresponsabile) della pratica sportiva meritano ulteriori approfondimenti e riflessioni d’ordine sociologico, che aiutano a meglio valutare il fenomeno sportivo nelle motivazioni per cui sorge e che ora sviluppo, per ampie linee, qui di seguito:-la naturale aspirazione alla vita comunitaria, pervasa di spirito fraterno, non trova nell’attuale contesto sociale mondiale opportune occasioni corroborative – confermative; anzi, è dato registrare, specialmente nel mondo del lavoro, così come oggi è organizzato, una sorta di spietato antagonismo e spirito di concorrenza in netto contrasto con l’aureo principio regolativo della vita sportiva autentica che, come è noto, proibisce e inibisce al membro di un gruppo di “…arricchirsi a detrimento dell’altro…”; -non a caso le relazioni umane significative si attivano e si realizzano, di solito, al di fuori del mondo del lavoro, nei luoghi del “ loisir; ed in particolare, del “ loisir sportivo”, da rivalutare e potenziare per la sua pregnanza sociale, politica e salutistica. E che chi scrive considera il luogo privilegiato, la palestra ideale, per la costruzione dell’uomo nuovo, che si sa orientare nel complesso sistema sociale di per sé alienante con la bussola della solidarietà e della sim-patia(sentire insieme) nei confronti dei propri simili e dei compagni di gioco; -la vita sportiva, in qualunque ambito si sviluppi, e qualunque sia la sua struttura organizzativa, è strettamente correlata, in quanto sub- struttura, al più ampio sistema sociale sia negli aspetti morfologici, sia in quelli struttural-sistemici; -il mondo dello sport si configura, infatti, come un’istituzione funzionale all’equilibrio della società, che non deve essere affidata, talvolta in maniera inconsapevole e ingenua, solo e soltanto al disegno elaborato dalla classe dominante!; -quando ciò accade, quando cioè si verifica una sorta di contaminazione non controllata che degenera in compromissione tra la società sportiva e quella politica, gli esiti sul piano umano e relazionale risultano in tutta evidenza negative:emblematico esempio di… eterogenesi dei fini…con le conseguenze facilmente immaginabili…..

-ne sono viva testimonianza i frequenti fenomeni contraddittori di uso improprio della pratica sportiva, di un’eccessiva prevalenza all’interno del settore sportivo degli aspetti mercantili(Gesellschaft) che, a loro volta, suscitano atteggiamenti esasperati antisociali, spesso con venature razzistiche, mascherati da pseudo-motivazioni d’ordine economico e di appartenenza, che purtroppo, da qualche tempo a questa parte, caratterizzano la vita sociale dei paesi opulenti, così detti civilizzati!! E che non giustificano certo l’intolleranza, la sopraffazione, la violenza fine a se stessa.

L’educazione alla sportività, al “Fairf Play “, concetto a chi scrive tanto caro, assume, quindi, un ruolo di supporto della POLITICA CULTURALE E SOCIALE DEL PAESE; e per meglio e più puntualmente assolvere a tale arduo compito, da sempre il mondo dello sport, attraverso i suoi organi e le sue agenzie di socializzazione sportiva che costituiscono, come è noto, l’ opus proprium ad esso congeniale, adegua, di volta in volta, la propria ideologia, e trasforma la propria organizzazione in funzione della sua teleologia costitutiva, che si prefigge naturalmente la risoluzione efficace delle questioni vitali della società.

Conclusivamente, con l’impegno a meglio approfondire in altre occasioni culturali le problematiche sociali, pedagogiche, filosofiche – qui ora solo fugacemente prospettate-mi pare si possa affermare che il sistema sportivo (e le agenzie ad esso collegate) se vuole veramente ottemperare alla sua naturale vocazione, debba urgentemente evolvere da sistema solo funzionale ai bisogni di una data società, a organizzazione soprattutto dedita ad una nobile missione pedagogica peculiare alla sua intrinseca natura, consistente nell’educare le giovani generazioni all’autodisciplina, al rispetto delle regole sociali, alla solidarietà e alla reciprocità dei rapporti umani, in assoluto spirito di concordia, condizione esistenziale previa per una sano produttivo e significativo sistema di rapporti interpersonali edificanti!!

Ciò può essere realizzato solo se si verifica anche l’identificazione dello sport con la cultura; solo, cioè, se si realizza tra le due dimensioni esistenziali un sorta di “Wechsel-Wirkung”, di “scambio reciproco”, senza prevaricazioni; non più dunque robusti animali e/o attività come “sfogo di energie superflue”; bensì, superando la concezione spenceriana, come espressione autentica e originale della mente pensante, argomentate e riflettente, dell’attitudine personale, del temperamento, cioè come risultante di un impegno volontario ed autonomo della persona umana, generosa e disinteressata che trova il suo fine in se stessa, consistente nel gesto sportivo compiuto solo per il gusto di praticarlo.

“E’ il canto che canta la gola la ricompensa più bella per colui che canta” sosteneva autorevolmente e poeticamente il grande Goethe; ed è proprio tale gratuità la fonte ideale per i sentimenti di solidarietà e di amicizia tra i popoli.

Perché si realizzino gli ambiziosi obiettivi pedagogici e politici qui ora sinteticamente rappresentati, il Panathlon, come pure il Coni di Latina, e le altre affini strutture sportive, appaiono lodevolmente impegnati a superare tutte le esasperazioni pragmatico-mercantili, e di successi e primati ad ogni costo, ottenuti forzando talvolta la natura, alterandola, con le conseguenze tragiche che sono sotto gli occhi di tutti, e che producono tanto sgomento per l’avvenire dei giovani.

And last, but not least…, si esalti pure il corpo, si valorizzino anche le performances eccezionali da record, si specializzino e si affinino pure le caratteristiche fisiche dell’individuo, senza tralasciare però la sua anima, come sin da tempi remoti la riflessione filosofica greca ha raccomandato(cura dell’anima) e la sua dimensione psicologica, intimamente ad esso connesse e integrate, con l’avvertenza che la corporeità(interfaccia dell’essere al mondo:essere corporeo) rappresenta il proscenio della vita, dove si realizza l’epifania dello spirito laico e forte, e dove si costruisce gradualmente il passaggio maturativo da “individuo” a “ persona”!

 

Saro Borgia

 

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