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Razzismo all’italiana

L’inqualificabile battuta che il leghista  Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, ha pronunciato contro l'italo-congolese Cécile Kyenge, ministra per l’Integrazione, da lui chiamata “orango”, m'induce a queste riflessioni. Molte delle quali – lo ammetto – sono un po' sul filo del rasoio…

Se proprio vogliamo chiamarli razzisti… sì, gli italiani della Lega, Calderoli in testa, sono razzisti, ma soprattutto razzisti antitaliani. Loro con il tricolore "si puliscono il c…", come hanno dichiarato più di una volta senza provocare né sconcerto, né dolore, né rabbia. Inoltre, questi "antinazionalisti italiani" quando possono non esitano ad offendere "razzisticamente" i loro fratelli del Sud.

Che si pensi anche alla voluttà con cui si deride e spernacchia, nella penisola, la sostanza del detto: "Italiani brava gente…", facendo carte false per provare che, in realtà, sul pianeta Terra noi siamo proprio i peggiori.

Per rendere questo strano atteggiamento auolesionista degli italiani, Sergio Romano è ricorso all'espressione "compiacimento autodenigratorio", altri ad voluttà autolesionistica" e  a "autocompiacimento distruttivo"… Definizioni che a me appaiono assai calzanti.

Una messa in guardia circa il presunto razzismo antistraniero degli italiani:  in Italia si parla e straparla ma alle parole quasi mai corrispondono i fatti. E così, nonostante il "diffuso razzismo" denunciato dagli internazionalisti – papisti, filomarxisti e globalisti della finanza – numerosissimi nello Stivale, non mi sembra poi che gli immigrati del Belpaese, sia legali sia illegali, subiscano ostilità e gesti di diminuzione o disprezzo dalla popolazione. Anzi, tutto indica che i "nuovi italiani" si trovino a loro agio nella terra del caos, dove non c'è necessità di adeguarsi ad alcuna regola se non a quella di arrangiarsi, e dove si può godere della costante benedizione di personaggi come Gian Antonio Stella, e tantissimi altri, tutti trasudanti o Vangelo o Goldman Sachs o Capitale di Marx…

In realtà, sono gli italiani (un pò portati a farsela addosso) ad essere impauriti da certi stranieri stakanovisti dell'illegalità : quegli zingari un pò troppo invadenti, quei rumeni qualche volta criminali, quei marocchini spacciatori, quegli africani venditori abusivi o questuanti, quegli slavi assaltatori di ville… Una doverosa precisazione: i loro connazionali presenti in Italia sono in gran parte bravissima gente. Ma nessuno può smentire il fatto che il contributo dato dai nuovi arrivati alla illegalità è incomparabilmente superiore a quello degli italiani di "vecchia data". Difatti essi letteralmente congestionano con il loro gran numero le carceri italiane. Inoltre basta leggere le pagine di cronaca nei vari quotidiani della Penisola…

Circa il gran parlare e il poco fare degli italiani, razzisti soprattutto a parole, si pensi al fenomeno delle famose ronde della Lega annunciate un paio di anni fa e che in Italia e all'estero tantissime anime tremebonde denunciarono, nientedimeno, come un pericolosissimo ritorno alle idee che resero possibili i campi di sterminio… In realtà le ronde della Lega non videro mai il giorno. E oggigiorno le ronde, in Italia, le fanno i criminali di tutte le razze che quotidianamente compiono atti illegali; dai meno gravi: vendita di prodotti contraffatti, non pagamento del biglietto sui mezzi pubblici, accattonaggio…, ai più gravi: spaccio di droga, furti, violenze, omicidi… Come la cronaca ampiamente attesta. Sono, tra l'altro, gli zingari a far paura agli italiani quasi tutti ormai anziani e un pò acciaccati, e fatti bersaglio dai nostri poveri zingarelli – e dalle loro madri, padri, fratelli, sorelle – di borseggi, furti, intimidazioni e atti insistenti di accattonaggio. A questo punto sono sicuro che Gian Antonio Stella sentirebbe il bisogno di precisare: anche l'emigrato italiano, 100 anni fa, era percepito come uno zingaro in America. Sì, in quell'America – aggiungo io per mostrare l'assurdità di certi paragoni che confondono, indebitamente, le epoche tra loro – in cui esistevano lavoro minorile, segregazione razziale, sporcizia, linciaggio… Quindi a me non pare che non basti quel giudizio espresso su di noi, in un'epoca lontana, da americani razzisti, per convincerci a chiudere gli occhi e la bocca, oggi, su certi abusi e sconci di cui gli italiani, nella Penisola, sono spesso vittime. Sarebbe come voler interdire agli ebrei di oggi di esprimere una qualsivoglia critica sugli altri, tirando fuori le dure critiche, a sfondo razzistico, da loro subite, in quell'epoca, negli USA e altrove; dicendo insomma: voi ebrei non avete diritto, oggi, di lamentarvi degli altri, per la semplice ragione che, ieri, gli altri si lamentavano di voi.

  Il "nazionalista-razzista" quando insulta razzisticamente gli stranieri, lo fa in nome della superiorità della propria nazione. Per il "nazionalista-razzista" gli stranieri appartengono ad una razza inferiore, e quindi egli si sente legittimato ad insultarli. È forse questo il caso dei vari Calderoli e Borghezio? A me non pare che le frasi offensive di Calderoli, e le giustificazioni che tanti hanno dato alla stupida e  sudicia frase di questo bambinone incosciente alla Pierino, costituiscono un vero atto di razzismo. In primo luogo perché Calderoli e compagnia non s'identificano né con l'Italia né con gli italiani, contro cui provano anzi un sentimento di avversione che non è esagerato chiamare razzismo. Quindi se certi leghisti sono razzisti, sono innanzitutto razzisti antitaliani. Inoltre, è il caso proprio di dire che il "razzismo" assai particolare di Calderoli nasce proprio dall'ignoranza. Un'ignoranza anch'essa particolare, perché questo Calderoli, insieme con gli altri analfabeti di questi sentimenti e nozioni che io considero fondamentali, sono ignari (sono "ignoranti") del legame che intercorre tra l'individuo e l'insieme, e viceversa; ossia che unisce il singolo alla nazione, e la nazione al singolo. Detto altrimenti: essi non riescono a concepire, per "ignoranza", che si possa offendere un insieme di persone attraverso un insulto di tipo razziale rivolto ad un individuo, come si è verificato con l'offesa fatta a Cécile Kyenge, chiamata "orango", ossia scimmia. Insulto che ha offeso o ha rischiato di offendere tutti i neri, poiché la ministra Kyenge è nata in Africa da genitori africani.

Sia l'italiano medio, sia il Calderoli – questo personaggio da osteria che parla a vanvera – non sembrano avere la minima idea di cosa vogliano  dire per gli altri identità collettiva, Patria, Nazione, onore, dignità nazionale… Forse anche perché non sono mai andati alla scuola dell'estero, ma solo a quella dell'osteria del villaggio natale… 

L'offesa di Calderoli e i commenti da sfottò di tanti che si sono schierati "scherzosamente" in difesa dell'onorabilità dell'orango, animale da loro considerato offeso dal paragone con la Kyenge, rivelano, oltretutto, un'incredibile mancanza di sensibilità. Avviene come alle elementari, dove il gruppo dei piccoli animali insulta il "diverso" per una sua caratteristica fisica, senza rendersi conto della propria  crudeltà e vigliaccheria.  Ma per i Calderoli e gli altri comici di un'Italia da avanspettacolo, in cui abbondano scorregge, smorfie e pernacchie, chiamare un arbitro cornuto è in fondo la stessa cosa che chiamare un nero "orango". Il legame tra un arbitro e la categoria degli arbitri e quello tra un individuo e la propria patria o il proprio gruppo etnico, il proprio Paese o il proprio continente sono infatti posti, da questo tipo d'italiani "antinazionali", su uno stesso piano. Insomma, l'insulto "etnico" non dice loro proprio nulla. E del resto, da anni, gli  italiani si lasciano collettivamente insultare, senza reagire.

Hollywood, cloaca massima di stereotipi e ruoli collettivi, continua a sbertucciarci e a demonizzarci (vedi la serie Soprano) senza che nessuno in Italia si senta offeso. Ma non solo: periodicamente sulla stampa di questo o quel paese appaiono sconce caricature dell'Italia e dei suoi abitanti. Ma nessuno reagisce. Perché nella penisola spirito nazionale, patriottismo, onore,  destino collettivo sono nozioni inerti che non suscitano quel sentimento di solidarietà e direi di trascendenza su cui ogni Nazione, inevitabilmente, si deve invece basare se intende sopravvivere.

L'Italiano medio, celebratore indefesso del mitico "estero", e cameriere e lustratore di scarpe del potente di turno meglio ancora se straniero, non solo non si considera superiore agli altri come "italiano", ma gode nel denigrare gli altri italiani, categoria nazionale a lui ostica, tanto che continuamente dichiara di non volerne fare parte. Ma egli onora, invece, con forza il proprio clan: partito, squadra di calcio, campanile, fazione, chiesuola, parrocchia… E, paradossalmente questo stesso essere, spasmodicamente di parte, si autoproclama fedele adepto dell'amore planetario… Per lui "l'interesse nazionale" è una nozione pericolosa e aberrante che va contro l'insegnamento di San Francesco. Le frontiere, secondo lui, andrebbero al più presto abbattute… Insomma, a parole, per lui  "tutto il mondo è paese" e quindi: "Volemose bene!"

Torno a ripetere, l'italiano medio è sì razzista, ma razzista antitaliano. Sicché abituato ad offendere, quasi sempre senza accorgersi, il sentimento nazionale italiano (che pochi in Italia hanno) è stupito se chiamando "scimmia" una donna nera, naturalizzata italiana, che siede in Parlamento, viene poi rimproverare da tanti, in particolare all'estero, perché ha insultato un gruppo "etnico".

Lui questo collegamento non lo fa. Non riesce a farlo. Proprio perché il legame che da italiano dovrebbe provare per gli altri italiani "perché anche loro italiani" non gli dice granché. Se non prova tale sentimento è perché a lui è estraneo il sentimento del destino nazionale comune, così come non avverte l'importanza che ha o dovrebbe avere per ognuno la "continuità storica" del Paese in cui si è nati. Legame e sentimento che sono invece forti in noi, del confine orientale, sopravvissuti ai vortici dei Balcani, ed eredi morali di un patriottismo in cui a prevalere – va precisato  – non è lo spirito guerriero-tribale balcanico ma soprattutto l'amore, e purtroppo oggi soprattutto il rimpianto.

Ma non limitiamoci a Calderoli. Esaminiamo per un attimo il giudizio del magistrato Ilda Boccassini sulla “furbizia orientale" di Ruby "tipica delle sue origini”, contenuto nella requisitoria contro Berlusconi; un testo letto e riletto innumerevoli volte, da lei e immagino da altri, senza che nessuno trovasse alcunché da ridire. Questa frase, inconsapevolmente razzista, denunciante la "furbizia orientale", rivela l'analfabetismo di molti italiani in materia di sentimenti e sensibilità circa la dignità collettiva di un popolo o anche di un insieme di popoli. La Boccassini, in effetti, ha espresso, in un documento destinato ad essere diffuso "urbi et orbi", un giudizio ingiurioso per una grande collettività: gli orientali (e facendo oltretutto un errore geografico, perché il Marocco non è in Oriente). E ciò senza minimamente rendersene conto…

In una maniera non troppo dissimile  – mi si permetta questa nota personale – l'italiano medio non riesce a capire perché noi della Venezia-Giulia e Dalmazia abbiamo sempre sentito come offensivo il commento che ognuno di noi prima o poi ha ricevuto nella sua vita: "Ma allora tu sei  slavo, non italiano!"

Occorrerebbe, una volta per tutte, cercare di dar vita ne Belpaese a un normale sentimento di amore e di dignità nazionale superando spirito di faziosità e fanatismo ideologico. Un tale sentimento è indispensabile per cominciare a capire e a rispettare il concetto di dignità nazionale: quello nostro e quello altrui.

Claudio Antonelli

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