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L’occasione perduta

La pacifica invasione degli alpini è stata l’occasione per rilevare
come Latina, grazie alla sua architettura e al suo piano urbanistico,
poteva essere per l’Italia e l’Europa una città laboratorio, come nel
territorio si sarebbero potute (e si potrebbero ancora) studiare
moderne abitazioni ad impatto zero. Latina poteva essere un nuovo
modello di città di mare, senza ricorrere al propagandistico e
risibile slogan dell’amministrazione: “Borgo di mare”. Nel suo
territorio si poteva (e ancora si può) progettare un nuovo turismo
verde, tra mare, monti e lago, una caratteristica unica dell’Agro
Pontino. E invece si sono dovuti attendere gli alpini per fare un pò
di maquillage alla città. C’è da chiedersi: ma questo mancata
attenzione al territorio, è frutto di ignoranza urbanistica o di
qualcosa d’altro? Nei giorni del ‘82° raduno nazionale degli alpini, è
emerso che una delle caratteristiche della città che maggiormente
hanno colpito tutti coloro che sono arrivati a Latina, sono state le
strade larghe e la caratteristica di un territorio con grandi spazi,
che ben si prestano sia all’uso della bicicletta che a quello
dell’auto. Anche il giorno conclusivo della manifestazione, quello
della sfilata, si è visto dalle riprese televisive, come una marea di
gente, sembrava essere molto meno del numero reale. Il percorso, che
partiva da Borgo Isonzo e terminava a Piazzale Carturan, una delle
direttrici del vecchio piano Frezzotti, ha permesso che migliaia di
persone sfilassero in modo ottimale. L’impianto urbanistico della
città di fondazione ha fatto si che la manifestazione, dal punto di
vista logistico, non abbia avuto nessun problema. Alcuni commentatori
televisivi, attenti a non urtare lo spirito “democratico” delle
autorità presenti, non se la sono sentita di sottoliniare in diretta,
come l’impianto urbanistico di fondazione di Littoria fosse stato
qualcosa di straordinario, frutto di una politica urbanistica
fortemente voluta dal regime fascista. La grande manifestazione degli
alpini ha molti meriti. Non solo quelli di aver indotto
l’amministrazione a fare interventi sulle strade, sui marciapiedi, sul
verde, sull’illuminazione, facendo passare per straordinario quello
che dovrebbe essere ordinario. Gli alpini hanno avuto il merito di
aver fatto riscoprire a tutti i latinensi le enormi potenzialità della
loro città. Per tre giorni abbiamo riscoperto Latina, con i suoi
spazi, il verde, le sue piazze. Questi tre giorni hanno anche segnato
un solco, tra la città di fondazione e la città nuova. Hanno
dimostrato come un impianto urbanistico degli anni ‘30 sia
attualissimo diventando un grande salotto, una grande agorà,
funzionale e bella. Perchè di bello, o di quel poco di bello che gli
alpini hanno visto, c’è stata solo la città di fondazione: con i suoi
portici, i palazzi ben disegnati, le larghe e belle piazze. Con buona
pace dei revisionisti di destra (?) e dei loro sciocchi servitori.
Perchè Latina  divenga città laboratorio per l’Italia e l’Europa, si
deve ripartire dalla città di fondazione. Certo, si sarebbero dovute
salvaguardare le quinte architettoniche delle piazze e dei viali. Si
sarebbe dovuto impedire, non che si costruiscano grattacieli, ma che
si costruiscano in luoghi dove non “oscurano” i palazzi di fondazione.
La “vista” da viale Mazzini con il retro dell’intendenza di Finanza
sporcato da un grattacielo,  e peggio ancora in piazza del Quadrato è
un esempio drammatico. Dietro l’edificio dell’Opera Nazionale
Combattenti, dove come sfondo prima c’era solamente il cielo, ora
svetta un parallelepipedo di cemento, che snatura quello che era il
prospetto di uno splendido palazzo di fondazione, prossimo museo della
bonifica. Anche per questo si è persa una occasione, quella di
salvaguardare la storia di questa città, la propria identità, quella
che ha permesso agli alpini di ricordare di aver visto una città
diversa dalle altre. Hai voglia a fare convegni sull’edilizia
ecosostenibile, sulla città bella. Il risultato a Latina è che il
piano colore  lo fanno alcuni costruttori. Che la politica e parte
della città si inchina ai nuovi padroni del cemento, esaltando opere
edilizie che sono e rimarranno anonime. Il tutto in un silenzio
assordante, in una città dove si fanno pettegolezzi di ogni genere, ma
che poco o nulla discute e pianifica per il proprio futuro
urbanistico. Di questo passo c’è il rischio che se qualche alpino
tornerà nella nostra città nei prossimi anni, la troverà ancor più
devastata. C’è bisogno di una coscienza collettiva che vada ben oltre
la politica e i politicanti di mestiere. La città difenda se stessa,
scelga il suo futuro prossimo, e non perda l’occasione di ricordarsi
solo attraverso le cartoline d’epoca.

Nando Cappelletti

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