Pochi giorni addietro in Valdisotto in provincia di Sondrio, un ragazzo di 17 anni, si è reso responsabile della morte di Lorenzo, un bambino di appena 3 anni, urtandolo con la motocicletta di cui era alla guida e poi dileguandosi nel nulla.
Un fatto di una drammaticità assoluta con diverse circostanze ancora al vaglio degli inquirenti.
Vorrei però soffermarmi su una sfaccettatura del tragico episodio, che mi ha lasciato non poco turbato e forse degna anch’essa di un qualche ragionamento.
A seguito dell’incidente, numerosi bambini, incitati dai genitori, hanno insultato pesantemente il 17enne con frasi del tipo ”assassino di bambini”.
Oltre ad un certo disagio personale nel sentire tali parole provenire dalla bocca di bimbi che non hanno ancora formato una coscienza e quindi esposti, senza alcuna possibilità di resistenza, a qualsiasi tipo di condizionamento da parte dei genitori, c’è da chiedersi il senso dell’inveire contro un adolescente che ha già la vita rovinata dalla coscienza e dal carcere.
Per la lingua italiana “assassino” è colui il quale uccide per odio o per rapina, specialmente a tradimento e se qualcuno ha ancora la pietà di riconoscere a quel ragazzo un briciolo di valore umano, tali frasi non corrispondenti a verità sono da considerarsi ingiurie. In un discorso a parte rientrano solo i genitori del piccolo, legittimati ad una più ampia sfera di comportamenti che il sentire comune e la stessa Legislazione gli riconoscono.
Il diciassettenne ha espresso alla fidanzata la volontà di farla finita.
In carcere il giovane è stato minacciato di morte. E’ la nota “legge” dei detenuti.
E’ in questo contesto che bisogna inserire le terribili frasi pronunciate dai genitori per bocca dei propri figli.
Chi riesce a immaginare senza venire percorso da brividi cosa riesca a significare per una persona qualsiasi, e in maggior misura per un adolescente, sentirsi chiamare da innocenti bambini di soli tre anni “assassino di bambini”, "nostro assassino” ?
Una cosa è chiedere che il colpevole risponda sino in fondo delle proprie enormi responsabilità, un’altra è per degli sciagurati genitori l’atto di istigare.
Istigare i propri piccoli a farsi portavoce di loro stessi nella tragicità di vicende umane a loro incomprensibili. Istigare l’adolescente nel rafforzare o agevolare l’istintivo proposito, peraltro già annunciato, di farla finita.
La Legge Italiana chiama questo atteggiamento istigazione al suicidio.
Gli adolescenti che proprio in quanto tali amplificano le sensazioni, si suicidano spesso per molto meno, un amore svanito, un litigio familiare, addirittura una bocciatura o un brutto voto scolastico.
Per chi non colpito in maniera diretta da eventi di tale tragicità, rinunciare ad un tale atteggiamento, vuol dire più semplicemente conservare ancora dentro se stessi un briciolo di umanità e di quella “pietas” narrata dagli antichi, che abbiamo -ahimè- mestamente dimenticato, causa della perdita di contatto con la realtà e delle conseguenti smisurate tragedie dei nostri tempi.
Grazie.
Massimo de Simone
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Immanuel Kant, Critica della ragion pratica: “ Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo il pensiero vi si ferma su: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me.”