Il fenomeno del NIMBY
La democrazia, riconosciuta in occidente come la forma migliore di governo, è un concetto generico, che viene concretizzato diversamente in ciascun posto. Nella sua forma più diretta, tutti i cittadini sono in grado di formulare le loro proposte, e ogni decisione è presa a maggioranza.
Se con la democrazia diretta è possibile mandare avanti una piccola comunità (tipo condominio), in una società complessa questa porterebbe alla paralisi. Quindi è necessario un qualche forma di rappresentanza: il popolo rinuncia ad una parte della sua sovranità quotidiana ed elegge, con modalità che variano da posto a posto, i suoi rappresentanti e li delega a governare. Finite le elezioni i cittadini regrediscono, dal ruolo di “sovrani”, al ruolo di “sudditi” e subiscono le decisioni dei rappresentanti che hanno eletto, fatta salva la possibilità di premiarli o punirli alle prossime elezioni.
Oggi quasi tutte le democrazie prevedono anche delle forme di controllo in corso d’opera, per esempio le petizioni, i referendum, i cortei, le manifestazioni di protesta, le lobby e, dal 1935 (da quando Gorge Gallup fondò l’American Institute of Pubblic Opinion, presto imitato in tutto il mondo) i sondaggi d’opinione. Poi ci sono le forme di controllo illegali, quali la corruzione, l’intimidazione, l’attentato etc..
Uno dei compiti più ardui di chi governa è tener fede al mandato originale che ha ricevuto col voto, cioè perseguire l’interesse collettivo, cercando nel contempo di non ledere troppo spesso gli interessi legittimi dei singoli o delle piccole comunità locali, senza piegarsi alle richieste illegali. Insomma governare è un equilibrismo tra l’interesse generale e l’interesse particolare (cercando di non precipitare nel baratro dell’illegalità).
Un governo attento solo agli interessi nazionali, sarebbe dispotico verso i singoli e verso le minoranze, mentre un governo troppo attento al rispetto de diritti dei singoli sarebbe alla paralisi totale.
Per lungo tempo gli interessi legittimi dei singoli e delle comunità locali sono strati pesantemente penalizzati a favore della pubblica utilità. Adesso che con i moderni strumenti di comunicazione anche i singoli riescono a rivendicare con forza i loro diritti, gli interessi legittimi sono tornati alla ribalta ed è nato e cresciuto il fenomeno del NIMBY, acronimo di Not In My Back Yard, ossia “non nel cortile di casa mia, non dove mi da fastidio”.
– C’è da costruire una raffineria? Fatela pure, ma lontano da casa mia!
– Serve una nuova discarica? Ok, purché non mi giunga il cattivo odore.
– La centrale nucleare? In Francia.
– Il termovalorizzatore? In Germania.
– La TAV? Nella valle a fianco, per favore.
– Il corridoio tirrenico? Non sul mio podere.
– Il cassonetto dei rifiuti? Non sotto la mia finestra.
– (…)
– L’antenna? Non a Largo Montemezzi.
Il NIMBY è un atteggiamento mentale naturale, col quale ciascuno di noi tenta di allontanare le cose spiacevoli. Come si può contrastare questo atteggiamento? È evidente che serve una politica basata sulla compensazione del danno, al fine di favorire il dialogo tra i singoli (o le piccole comunità danneggiate) e le autorità.
In un’Italia che sta virando verso la devolution (cioè verso lo spostamento del potere dal centro alla periferia, dove sarà sempre più difficile prendere delle decisioni a valenza nazionale, poiché le autorità saranno sempre più vicine, anche fisicamente, agli interessi particolari e locali), dove cadrà il nuovo equilibrio tra l’interesse nazionale e l’interesse locale?
Salvatore Antoci