Autore: Salvatore Antoci

Il fenomeno del NIMBY

La democrazia, riconosciuta in occidente come la forma migliore di governo, è un concetto generico, che viene concretizzato diversamente in ciascun posto. Nella sua forma più diretta, tutti i cittadini sono in grado di formulare le loro proposte, e ogni decisione è presa a maggioranza.
Se con la democrazia diretta è possibile mandare avanti una piccola comunità (tipo condominio), in una società complessa questa porterebbe alla paralisi. Quindi è necessario un qualche forma di rappresentanza: il popolo rinuncia ad una parte della sua sovranità quotidiana ed elegge, con modalità che variano da posto a posto, i suoi rappresentanti e li delega a governare. Finite le elezioni i cittadini regrediscono, dal ruolo di “sovrani”, al ruolo di “sudditi” e subiscono le decisioni dei rappresentanti che hanno eletto, fatta salva la possibilità di premiarli o punirli alle prossime elezioni.
Oggi quasi tutte le democrazie prevedono anche delle forme di controllo in corso d’opera, per esempio le petizioni, i referendum, i cortei, le manifestazioni di protesta, le lobby e, dal 1935 (da quando Gorge Gallup fondò l’American Institute of Pubblic Opinion, presto imitato in tutto il mondo) i sondaggi d’opinione. Poi ci sono le forme di controllo illegali, quali la corruzione, l’intimidazione, l’attentato etc..

Uno dei compiti più ardui di chi governa è tener fede al mandato originale che ha ricevuto col voto, cioè perseguire l’interesse collettivo, cercando nel contempo di non ledere troppo spesso gli interessi legittimi dei singoli o delle piccole comunità locali, senza piegarsi alle richieste illegali. Insomma governare è un equilibrismo tra l’interesse generale e l’interesse particolare (cercando di non precipitare nel baratro dell’illegalità).
Un governo attento solo agli interessi nazionali, sarebbe dispotico verso i singoli e verso le minoranze, mentre un governo troppo attento al rispetto de diritti dei singoli sarebbe alla paralisi totale.

Per lungo tempo gli interessi legittimi dei singoli e delle comunità locali sono strati pesantemente penalizzati a favore della pubblica utilità. Adesso che con i moderni strumenti di comunicazione anche i singoli riescono a rivendicare con forza i loro diritti, gli interessi legittimi sono tornati alla ribalta ed è nato e cresciuto il fenomeno del NIMBY, acronimo di Not In My Back Yard, ossia “non nel cortile di casa mia, non dove mi da fastidio”.
– C’è da costruire una raffineria? Fatela pure, ma lontano da casa mia!
– Serve una nuova discarica? Ok, purché non mi giunga il cattivo odore.
– La centrale nucleare? In Francia.
– Il termovalorizzatore? In Germania.
– La TAV? Nella valle a fianco, per favore.
– Il corridoio tirrenico? Non sul mio podere.
– Il cassonetto dei rifiuti? Non sotto la mia finestra.
– (…)
– L’antenna? Non a Largo Montemezzi.

Il NIMBY è un atteggiamento mentale naturale, col quale ciascuno di noi tenta di allontanare le cose spiacevoli. Come si può contrastare questo atteggiamento? È evidente che serve una politica basata sulla compensazione del danno, al fine di favorire il dialogo tra i singoli (o le piccole comunità danneggiate) e le autorità.

In un’Italia che sta virando verso la devolution (cioè verso lo spostamento del potere dal centro alla periferia, dove sarà sempre più difficile prendere delle decisioni a valenza nazionale, poiché le autorità saranno sempre più vicine, anche fisicamente, agli interessi particolari e locali), dove cadrà il nuovo equilibrio tra l’interesse nazionale e l’interesse locale?

Salvatore Antoci

Diserbante chimico

Cari Vicini (come ormai si usa dire),
Vorrei condurvi in un viaggio che parte da lontano, dagli Stati Uniti del 1932, e che finisce il 3 marzo 2006 sul marciapiede davanti casa nostra.

Stati Uniti, 1932: siamo in piena “depressione” e gli americani stanno vivendo il periodo peggiore della loro storia. La borsa era crollata nel 1929, la produzione industriale si è più che dimezzata, le acciaierie funzionano ad appena il 12% della loro capacità mentre 13 milioni di disoccupati vagano senza meta. Per molti cittadini le condizioni di vita sono regredite a livelli primitivi; avendo perso casa e lavoro, molte famiglie sono costrette a vivere all’aperto in alloggiamenti di fortuna e in condizioni igieniche precarie.
In questo clima surreale, si svolge la campagna elettorale per le presidenziali, che vede il presidente in carica Hebert Clark Hoover, repubblicano, insidiato da Franklin Delano Roosevelt, democratico.
Hoover nei suoi comizi ammonisce gli americani che “… (se avesse vinto Roosevelt) le strade delle città americane sarebbero presto invase dalle erbacce”.

Latina, 3 marzo 2006. Le nostre strade SONO invase dalle erbacce! Sapere che nel 1932 (data di nascita di Latina), in piena depressione, il Presidente degli Stati Uniti riuscisse a preoccuparsi, sebbene per motivi di propaganda, delle erbacce sui marciapiedi, mi sconvolge!
Noi, dopo 74 anni, viviamo ancora nel degrado più totale, coi rovi e le erbacce padroni indiscussi della nostra città!
Cosa fa il Comune? Cosa fanno i nostri politici? Qualcuno percepisce il problema? Qualcuno ne parla?
Si potrebbero finalmente pavimentare i nostri marciapiedi disastrati, si potrebbero dissodare e sistemare le aree verdi, impiantare il prato e poi tagliare regolarmente l’erba! Si sta facendo? Certo qualche timido segnale si intravede ma, a mio avviso, è inadeguato rispetto alle dimensioni del problema.
Quello che invece sta avvenendo da qualche anno, con una cadenza preoccupante, è l’impiego massiccio di diserbanti chimici. Avrete notato tutti in questi giorni i camion che con sistematicità stanno spruzzando con diserbante tutti i nostri marciapiedi.
A parte il danno per l’ambiente e per la nostra salute su cui, per ignoranza, non esprimo alcuna opinione, mi sembra assurdo che vengano usate quantità industriali di diserbante chimico, per controllare delle erbacce che non ci sarebbero se i marciapiedi fossero pavimentati.
Un altro aspetto che vorrei denunciare è che il diserbante viene spruzzato abbondantemente pure sul “prato” in prossimità del marciapiedi. Il risultato estetico sarà pessimo. Avremo le nostre strade “bordate” da una orrenda cornice di erba secca con alle spalle una rigogliosa prateria di erbacce alte un metro. Vi sembra normale? A me no!
Non sarebbe meglio impiegare i soldi del diserbante, per pavimentare i nostri marciapiedi e per tagliare i nostri prati?
Coraggio, possiamo farcela! Siamo in ritardo di soli 74 anni!

Salvatore Antoci.

buche

Le nostre buche e le buche degli altri

Bergamo, 21 febbraio 2006, ore 14:30

Sono in albergo e ho appena pranzato. Fuori piove così, in attesa di andare a lavorare sto navigando su internet per ingannare il tempo.
Sul sito del comune di una cittadina del Texas settentrionale alla quale sono molto affezionato (http://www.cwftx.net/), noto il seguente invito che traduco liberamente:

“Se vedi una buca in una strada, chiama il 761-7970. Il Dipartimento del Traffico aggiungerà alla lista la buca da te segnalata e inizierà i lavori di riparazione entro il prossimo giorno lavorativo.”

Quindi riepiloghiamo: oggi segnalo la buca, ed entro domani arriverà una squadra di operai che con una speciale macchina taglierà la zona d’asfalto o di cemento danneggiata, poi scaverà un buco profondo circa un metro, consoliderà il terreno, getterà una colata di cemento armato a presa rapida e asfalterà (o ricostruirà il manto cementizio in caso di strada in cemento). Il tutto perfettamente a filo col resto della strada, tanto che, se non fosse per il colore diverso, sarebbe impossibile capire dov’era la buca. E la cosa bella è che questa riparazione durerà anni e anni, senza avvallamenti o crepe.

Come da noi, no?

Qui, se tutto va bene, la “riparazione” avviene dopo vari mesi di attesa e innumerevoli ammortizzatori rovinati. (Le virgolette le ho messe perché non sono sicuro che qualche palata di asfalto buttata da lontano si possa definire riparazione, senza rischiare di essere preso per pazzo).
Poi, alla prima pioggia, la “riparazione” salta e tutto ricomincia daccapo.

Eppure questa cittadina Texana ha molte similitudini con Latina, a cominciare dal numero di abitanti! Chissà perché allora, le loro buche sono diverse dalle nostre?

Salvatore Antoci

Segnaletica orizzontale

Stamani mentre percorrevo Via del Lido, come Paolo sulla via di Damasco, rimasi fulminato da un’intuizione:

«A che servono le strisce bianche che delimitano le corsie di marcia e i parcheggi? A che servono le strisce pedonali, gli stop, le frecce e tutta la segnaletica orizzontale di vario genere? Visto che nessuno rispetta questa segnaletica, non sarebbe meglio risparmiare i nostri soldi ed evitare di spalmare quintali di vernice sull’asfalto che serve solo a renderlo più scivoloso in caso di pioggia?»

Arricchito da questa folgorazione non vedevo l’ora di scrivere al nostro Freddy e di proporgli un sondaggio, o meglio una raccolta di firme, allo scopo di abolire la segnaletica stradale.

Poi, recuperata un po’di lucidità, mi sono reso conto che quelle strisce per terra una funzione ce l’hanno: servono da punto di riferimento per i “dueterzisti del volante”.
Come!? non sapete chi sono i dueterzisti? Sono quegli automobilisti che guidano sempre con due terzi della loro auto in una corsia, mentre col rimanente terzo mettono una sorta di ipoteca sull’altra corsia, insomma una specie di prendi 2 e paghi 1.

Se volete studiare da vicino i dueterzisti, percorrete Via del Lido, sarà un’esperienza emozionante! Anche i nostri Viale Paganini e Viale Da Palestrina sono ottimi laboratori a cielo aperto per studiare questa strana specie, frutto sicuramente di qualche deviazione genetica (scusa Freddy, so che questo è terreno tuo!).

Durante le vostre osservazioni vi accorgerete che i dueterzisti sono persone avide e arroganti; non tollerano che una corsia possa rimanere libera e che altri utenti ne possano usufruire. Essi vogliono tutto per loro.
Quando un dueterzista parcheggia l’auto, occupa almeno due stalli, ma se riesce ad occuparne tre o quattro raggiunge l’acme del piacere.
Ma il meglio di sé il dueterzista lo dà in autostrada, in particolare in prossimità dello svincolo d’uscita. Egli getta una testa di ponte sulla corsia di decelerazione con un terzo della sua vettura, mentre con i rimanenti due terzi difende ad oltranza la corsia di marcia. Così, attestato su questi due avamposti strategici, comincia a rallentare, costringendo le auto che stanno sulla corsia di marcia a rallentare con lui, o a spostarsi (se possono) sulla corsia di sorpasso. Se per caso il traffico sulla corsia di decelerazione è bloccato, il deuterzista ha raggiunto un importante obiettivo tattico: è riuscito a bloccare anche il traffico che potrebbe proseguire indisturbato se solo il nostro idiota si spostasse un po’ più a destra. Ma egli difende la sua posizione finché può, poi, quando la corsia di decelerazione si separa fisicamente, il nostro dueterzista è costretto a malincuore a liberare l’autostrada dalla sua sgradevole presenza.

Una vecchia domanda mi si riaffaccia alla mente: ma i Vigili dove sono?

Salvatore Antoci

A chi serve la multa?

Ammettiamolo, a nessuno piace prendere una multa! Partendo da questa facile verità cerchiamo di capire se c’è una logica che possa farcela meglio accettare, o se piuttosto la multa è un sopruso consumato ai nostri danni da Istituzioni dispotiche e lontane, e quindi da combattere con tutti i mezzi. Cominciamo a chiederci a che serve una multa, ossia quali sono le sue funzioni “terapeutiche”.

A mio parere la multa ha tre funzioni:

1.DETERRENTE. La multa è un deterrente. Per paura della multa i cittadini dovrebbero astenersi dai comportamenti scorretti;
2.PEDAGOGICA. La multa è una forma di educazione dolorosa, paragonabile alla sculacciata. Chi ha infranto una regola deve associare alla sua trasgressione la sensazione spiacevole della punizione in modo che nel futuro si astenga dal reiterare il fatto. Se la punizione segue sempre, o quasi sempre, l’azione scorretta (certezza della pena) l’efficacia dei punti 1 e 2 è massima;
3.RISARCIMENTO. La multa è un risarcimento per il danno che il comportamento scorretto arreca alla collettività.

Un comportamento scorretto, anche se apparentemente innocuo, procura sempre un danno alla collettività! Non siete d’accordo? Senza arrivare agli eccessi degli americani che riescono a monetizzare tutto, proverò con degli esempi a convincervi della bontà della mia affermazione.

– Preferireste vivere in un quartiere pulito e ordinato o in un quartiere invaso dalla spazzatura e dagli escrementi di cane? La risposta è ovvia, no? Se state cercando una casa in affitto o da comprare, a parità di metriquadri e di tutti gli altri parametri non sarete disposti a sborsare qualche €uro in più per quella che si trova nel quartiere pulito? Quindi chi ha sporcato, non ha forse danneggiato economicamente i proprietari di casa del quartiere sporco?

– Chi non rispetta le regole della strada contribuisce a creare degli incidenti che, anche quando non ci scappa il morto, si traducono in costi per gli individui coinvolti, per le assicurazioni, per il Servizio Sanitario e, in ultima analisi, per l’intera collettività.

– Chi imbratta la città con i graffiti arreca un danno economico pari alla spesa necessaria per ripulire i muri e per cambiare i segnali stradali e un danno meno quantificabile, ma reale, pari al diminuito valore di una zona degradata.

– Chi ostacola la circolazione col parcheggio selvaggio, arreca un danno alla collettività derivante dal rallentamento del traffico e dalla conseguente perdita di tempo (qualcuno dice che il tempo è denaro!).

– Chi si comporta da cafone, chi è maleducato, chi prevarica, chi è arrogante contribuisce a deprimere la qualità di un posto, ad abbrutire la sua comunità e, in ultima analisi, degrada la qualità della vita, arrecando un danno a tutta la collettività.

Potrei continuare con altri esempi, ma ritengo che possa bastare così; quelli di voi che non sono riuscito a convincere, non cambierebbero comunque idea. Chi invece è anche solo parzialmente d’accordo, faccia l’ultimo sforzo e mi aiuti a rispondere alla prima domanda: a chi serve la multa?

A mio parere la multa serve ad ogni cittadino onesto, animato dal senso civico e desideroso di vivere in un posto civile. La multa può contribuire a civilizzare un posto a condizione che sia preceduta da una intensa opera di sensibilizzazione. La multa dev essere il frutto di un controllo capillare che al comportamento scorretto faccia seguire con regolarità la sanzione.

Le multe a tappeto fatte sporadicamente solo per rimpinguare le casse del Comune, anche se colpiscono comportamenti scorretti, non servono a nulla. Esasperano soltanto i malcapitati che si sentono dei capri espiatori, incappati in un’azione che assomiglia più alla rappresaglia del nemico piuttosto che all’azione di tutela di un’Amministrazione che ha a cuore il benessere dei suoi cittadini.

La ricetta per venirne fuori? Semplice! …ma estremamente complessa al tempo stesso, dato che siamo innanzi ad un incancrenito problema culturale.

Salvatore Antoci