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L’intervista a Latina Ciclabile de Il Territorio

Di seguito l'articolo pubblicato ieri, 1 agosto 2010, su "Il Territorio":

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  1. Vincenzo ha detto:

    Mentre a Latina si continua a morire di bici. I ciclisti non sono tutelati, non esistono piste dedicate nell'inerzia della politica:

    Allegato: MICHELE

    Addio Michele

     

  2. anna ha detto:

    Questo è il testo integrale del commento di Latina Ciclabile uscito sul Territorio di Latina oggi.

    Anna

     

    Morire pedalando…

     

    Martedì 3 agosto: ciclista investito ed ucciso presso Borgo Sabotino a Latina.

    Mercoledì 4 agosto: ciclista preso a bastonate per una lite ad Anzio.

    Domenica 25 luglio: ciclista investito da un‘auto privata in via Monti Lepini.

    Questi sono gli ultimi di una lunga serie di episodi di ciclisti travolti da auto, uccisi, feriti nei dintorni di Latina, ma la lista si allungherebbe notevolmente guardando le altre province di Italia nelle ultime settimane o mesi.

    Quello che è già sotto gli occhi di tutti è esattamente lo specchio di quanto è desumibile dall’analisi elaborata, nel programma d’azioni del progetto Tandem, gennaio 2010, da parte della Consulta Nazionale sulla sicurezza stradale e della Fiab, sulla base di dati della Commissione Europea e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

    La cosiddetta “utenza debole” è la categoria che maggiormente  subisce le conseguenze di politiche mai o scarsamente adottate nel nostro paese. E poco è valso il programma di azione europeo per la sicurezza stradale che già dal 2003 richiedeva ai paesi membri di adottare interventi volti a dimezzare il numero di vittime su strada entro il 2010.  L’Italia resta il paese in Europa dove si muore di più: nel 2007 i ciclisti morti in Italia sono 350 contro i 150 in Olanda, i 140 in Francia, i 90 in Belgio e Spagna, i 50 in Danimarca, i 30 in Belgio e Austria e ancor meno in altri paesi.

    E questo è ancora più grave perché l’Italia non rientra tra i paesi con le maggiori quote di spostamenti in bicicletta. Il tasso di mortalità di Roma è di 2-5 volte superiore rispetto a Parigi e a Londra, dove la popolazione è 2-3 volte superiore.

    E Roma non è la città dove muoiono più ciclisti in Italia, confrontata con Catania e Messina. Le nostre città sono le più pericolose perché non proteggono a sufficienza pedoni, ciclisti, anziani, conducenti di ciclomotori e scooter.

     

    Negli ultimi cinque anni le maggiori città come Parigi, Londra, Dublino, Helsinki, Madrid, Barcellona, si sono fortemente impegnate ad ampliare gli spazi urbani per pedoni e ciclisti, tenendo conto delle esigenze di mobilità delle utenze deboli.

    Per non aver fatto investimenti della stessa portata, l’Italia paga (solo prendendo in esame i 14 comuni più grandi in Italia, quindi il dato a livello nazionale è molto più alto) un costo aggiuntivo di 15,6 milioni di euro per un numero di morti superiore a quelli che si verificherebbero adottando gli stessi standard si sicurezza urbana europei.

    Perché l’Italia non ha fatto gli stessi investimenti? Perché affida lo sviluppo delle città al caso e all’improvvisazione? Perché non si valutano le conseguenze non solo in termini di perdita di vite umane e di affetti (che sarebbe già più che sufficiente), ma anche in quelli di costi per la collettività?

    E Latina, che provvedimenti ha preso in funzione di quella “ridistribuzione dello spazio e dei mezzi” suggerita dalla Commissione europea già dal 1999, e favorire quegli interventi che dovevano essere scontati per tutte le amministrazioni fin qui avute, data la vocazione naturale di una città distribuita per intero in pianura e con un clima favorevole tutto l’anno?

    Ovvero, come è stato possibile non considerare efficacemente il problema dello spostamento in una città come la nostra, pensando prima di tutto ad attrezzarla di una vera rete di piste ciclabili e ridurre così l’utilizzo del mezzo privato anche per brevi tratti di strada? Perché in una città ancora nuova e in continua espansione non sono state messe in sicurezza le nuove arterie stradali con un sistema continuo di marciapiedi e piste ciclabili che consentano a pedoni e ciclisti di attraversare la città, andare a scuola o a lavoro senza rischiare ogni volta di non tornare a casa? Perché si sono fatte e si continuano a costruire rotonde in alcuni punti della città dove la moderazione del traffico è già abbastanza regolamentata e in altri si consentono velocità da brivido agli automobilisti?

    Perché si continua a pensare in termini di quantità e non di qualità? Che senso hanno quei monconi di pista ciclabile che nascono da nulla e finiscono nel nulla? Perché non è stato possibile ricucirli in una rete integrata e organica? Che manutenzione hanno quei pochi tratti di pista realizzati senza una segnaletica in corrispondenza degli incroci, col fondo ormai sconnesso e totalmente ingoiati dentro cespugli o sotto le macchine che vi parcheggiano indisturbate? Che razza di atleta devi essere per riuscire a salire sulla pista scavalcando in alcuni tratti scalini di 25 cm, come in quasi tutti i marciapiedi di Latina con buona pace di disabili e mamme con carrozzine al seguito? Perché si sono continuati a fare marciapiedi larghi 4 metri in alcune zone senza attribuirne una parte a percorsi sulle due ruote, così come prevede l’art. 10, della legge n. 366/98 che poneva l'obbligo per gli Enti proprietari delle strade di realizzare piste e percorsi ciclabili adiacenti sia a strade di nuova costruzione sia a strade oggetto di manutenzione straordinaria?

    Perché Latina deve vantare in Italia il maggior numero di macchine per abitante e rendere così difficile la vita a chi voglia invece spostarsi a piedi o in bicicletta, o a chi venga occasionalmente senza un mezzo proprio e voglia semplicemente spostarsi dalla stazione al mare o al Fogliano? E vogliamo parlare degli inesistenti mezzi pubblici che inchiodano le persone ore intere ad una fermata senza nessuna sicurezza di poter arrivare a destinazione?

    Certo non si può dotare tutto il territorio di piste ciclabili, né queste possono essere la soluzione di tutti i problemi, o impedire le umane disattenzioni, la mancanza di prudenza e di accorgimenti per segnalare la propria presenza in strade urbane ed extraurbane.

    Ma la loro esistenza, insieme ad una politica vera di ricostruzione della mobilità per intero, di efficace educazione stradale a tutti i livelli scolastici e di repressione costante della cattiva guida, dovrebbe senza tentennamenti far parte del programma di governo di qualunque buona amministrazione che così voglia definirsi, se vogliamo smetterla di considerare la lunga e triste sequela di eventi luttuosi come una tragica fatalità in alcun modo evitabile e a nessuno imputabile.

     

    Anna Maria Ronconi

    Presidente di LATINA CICLABILE-FIAB