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Saviano contro la legge Bavaglio

Saviano: ma io disobbedirò  

di Gianluca Di Feo

Io disobbedirò. Roberto Saviano non ha dubbi: "Cercherò di continuare a lavorare come se questa legge non ci fosse". Perché il testo sulle intercettazioni approvato in commissione Giustizia "è una castrazione reale del lavoro di inchiesta" e soprattutto un regalo alle mafie "che potranno comunicare con facilità e nascondere i meccanismi del loro potere".
A quattro anni dall'uscita di "Gomorra", lo scrittore non vede diminuire la forza della criminalità organizzata mentre sente "crescere la fragilità della magistratura". E percepisce un clima molto simile a quello che ha preceduto le stragi del 1992, quegli attentati spettacolari contro obiettivi simbolici, uomini e monumenti, che hanno cambiato la storia d'Italia: "Anche oggi se i boss decidessero di alzare il tiro potrebbero dare una spallata al Paese e scegliere come ridisegnarlo. Penso alle parole di Francesco "Sandokan" Schiavone che ha evocato "una valanga"". In un terrazzo romano Saviano si gode la luce del tramonto spuntata dopo l'ennesimo temporale di questa primavera buia, gli occhi scuri vagano curiosi inseguendo qualunque movimento ma è tutt'altro che distratto: cerca sempre di guardare oltre e interpretare l'evoluzione della crisi morale ed economica. Sul tavolo i pupazzi playmobil che gli ha regalato un piccolo fan: un bandito armato fino ai denti e un poliziotto con solo il manganello, quasi una metafora della situazione italiana.

Se il testo della legge sulle intercettazioni non verrà modificato, le mafie saranno più avvantaggiate dai limiti agli ascolti o dal divieto di pubblicazione?

"Il vantaggio maggiore sarà la facilità di comunicazione. Oggi, con gran parte dei capi detenuti, per loro è sempre più difficile trasmettere ordini e quindi gestire le organizzazioni. Prendiamo i colloqui in carcere con i familiari, il sistema più antico usato per continuare a comandare. Il boss Bidognetti negli incontri con la compagna Anna Carrino si toccava continuamente il viso come se si stesse lisciando la barba. Voleva dirle: "Fai riferimento a Sandokan". Quando la donna ha cominciato a collaborare, ha spiegato ai magistrati che c'è voluta una decina di colloqui per comprendere quale fosse il significato di quel gesto. Se passa la legge, non avranno più di questi problemi".

Allo stesso modo le mafie sanno comunicare anche nel silenzio, con i segnali ostentati sul territorio.
"E questo rende ancora più importanti le intercettazioni. La cosa che più mi ha impressionato è che a volte ci sono esecuzioni che non hanno bisogno di un ordine: avvengono come se fosse una regola che sta nelle cose. Ricordo l'omicidio del sindacalista Federico Del Prete nel 2002 a Casal di Principe: non ci fu bisogno di una riunione tra capi ma solo un tacito assenso; nel momento in cui la dirigenza fece sapere che era mal sopportato chi lo andò ad ammazzare non è che si prese la briga di chiedere l'autorizzazione a Sandokan e a Bidognetti. E diventa fondamentale contare sull'ascolto con intercettazioni e microspie: ti permette di capire il contesto da cui poi certe azioni scattano in automatico".

Queste dinamiche sono descritte in "Gomorra" e in tanti altri libri. Come fanno i parlamentari di una commissione che si occupa di giustizia a ignorarle? Fino a che punto c'è malafede nel concedere un vantaggio simile ai padrini?
"C'è un segmento dove incompetenza e malafede possono coincidere. L'incompetenza c'è: vogliono creare una regola per ottenere certi vantaggi ignorando gli effetti nella lotta alla mafia. Ma non è una malafede diretta ad aiutare le organizzazioni criminali. Anche perché si sta declinando il contrasto ai clan come "manu militari": conta solo sbatterli dentro e sequestrare i beni più vistosi. Questa azione è importante: ma così si tagliano le braccia, senza colpire la testa e senza sradicare il corpo. E proprio l'alibi del contrasto militare permette a malafede e incompetenza di sovrapporsi".

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