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Cultura della Fondazione: le opinioni di Daniela Moscarino

CULTURA DELLA FONDAZIONE Sta facendo molto discutere di se, in questi giorni, la Fondazione Teatro, e fra un attacco, una risposta un po’ troppo ottimistica e qualche commento, come al solito mai traspare l’esatta portata della questione, in sdegno a quella trasparenza, cui, a leggere lo Statuto della Fondazione (art. 5 co.2), la stessa  dovrebbe   improntarsi nei confronti di tutti i cittadini. L’incognita più grossa è quella che riguarda l’esistenza o meno dei fondi per remunerare la stagione che sta per iniziare e rispettare le obbligazioni assunte con gli abbonamenti. Si parla di una voragine di bilancio e forse di un salvataggio in extremis. Senza voler entrare nel merito della opportunità di una tale operazione,  mi chiedo, su quali basi, dopo quali analisi puntuali sulla virtuosità o meno della gestione, vorrebbe essere attuato? Il bilancio che va fatto oggi,  a mio avviso quindi, non è solo economico. Occorre una reale presa di coscienza di quanto vogliamo fare e di quanto possiamo o sappiamo fare.  E’ dunque lecito chiedersi: dopo aver trasformato in Fondazione una gestione che prima veniva realizzata tramite l’assessorato con poche unità, dopo aver quindi impiantato un colosso che prevede: un Presidente, una assemblea di fondatori composta da 3 persone, un Consiglio di amministrazione composto da 4 persone,  un collegio di revisori di 3 membri, 3 addetti stampa, più altri collaboratori e dipendenti vari – immaginiamo tutti più o meno retribuiti – cosa è stato prodotto dopo tre anni,  od almeno cosa è in gestazione di quella “progettualità complessa che mira a fare del Palazzo della Cultura un luogo per la sperimentazione di soluzioni innovative nel campo dello spettacolo e della cultura, un incubatore di idee e di progetti di grande valore artistico”?  In queste parole non c’era solo l’entusiasmo del Sindaco e del Consiglio Comunale che ha approvato la delibera per l’istituzione della Fondazione. C’era grande fiducia da parte soprattutto di quei concittadini che vivono la cultura da protagonisti oltre che grande attesa  da parte di quelli che la vivono da spettatori.Ed ancora cosa mancato? Non di certo è mancato l’apporto economico, che su base annua è stato di oltre quattro volte superiore a quello massimo stanziato per l’assessorato alla valorizzazione della cultura (relegato oggi ad inutile doppione giacchè la Fondazione, con quasi due pagine di attività che ne costituiscono lo scopo, potrebbe occuparsi a 360° della  materia). E neanche sono mancati  i grandi nomi cui affidare un progetto di così ampio respiro. Barbareschi, ancorché inviso ai più , e Costanzo, nonostante qualche produzione della Fascino da non tutti condivisa, non sono certo gli ultimi arrivati.Ed allora è doveroso interrogarsi e rispondere: le attività della Fondazione sono state svolte in conformità agli scopi istituzionali con criteri di imprenditorialità ed efficienza, nel rispetto delle condizioni di equilibrio economico e finanziario richiamate dall’art. 5 dello Statuto? Sulla base di quali considerazioni è stato  selezionato un organico che avesse la prerogativa di comprendere quale poteva essere il rischio sociale connesso a scelte tecnicamente difficili? Nell’era di una  new economy rappresentata dalla rete perché non c’è neanche uno straccio di sito internet con cui veicolare (e rendere trasparente) le proprie attività come perfino le Fondazioni di piccole cittadine hanno fatto? Sono stati garantiti meccanismi di accesso imparziali verso tutti i soggetti che contribuiscono allo sviluppo della cultura latinense?E’ stata assicurata  quella necessaria trasparenza nell’assegnazione dei fondi?E’ stato fatto in modo, come dovrebbe essere per ogni ente partecipato da un Ente locale, che venisse  attivato un meccanismo di reporting a cura dei rappresentanti istituzionali in seno alla Fondazione che avrebbe permesso di garantire una maggiore e più capillare supervisione, circa il raggiungimento dell’equilibrio economico patrimoniale e il corrispondente equilibrio finanziario dei risultati attesi previsti e delle performances di qualità dei servizi erogati da tali strutture, nonché una maggiore rispondenza dell’operato delle stesse alle scelte di indirizzo politico strategico del Comune? Vale la pena osservare infatti che le fondazioni di partecipazione finiscono per esercitare un servizio pubblico locale,  con un modello semmai idoneo a gestire una attività economica di interesse pubblico. E quindi la Fondazione pur essendo un organismo di diritto privato deve far riferimento anche alla normativa di settore degli Enti Locali e quindi deve rispettare tutte le regole che riguardano il sistema pubblico, ponendo molta attenzione a non far ricadere costi dei servizi superiori a quelli che il Comune avrebbe nella gestione diretta degli stessi. Diversamente si avrebbe l’effetto, sin troppo comodo ancorché funzionale, per un lato di esercitare un’attività di impresa e per l’altro di lasciarsi alimentare con ingenti risorse pubbliche dirette e indirette (tramite comodati, accollo di utenze, personale comandato ecc. disposte per lo più in via convenzionale) al di fuori di contratti di servizio, del controllo dei revisori dell’ente locale e senza estensione della disciplina sull’accesso ai documenti. La fondamenta di ogni organismo non sono solo le finalità ma anche le regole.Solo così si potrà rispondere più responsabilmente al territorio sull’utilizzo delle risorse investite e sugli effetti delle scelte strategiche operate. Di fronte al rischio di dover vedere sfumata pura la stagione teatrale, che comunque prima con un quarto dei fondi ed un ottavo dell’organico era assicurata, mi chiedo ma che male ha fatto questa città per vedersi negare il diritto ad un servizio o progetto valido?   Or dunque e’ vero che serviva una Fondazione per la cultura…quella politica o quella del saper fare. 

Daniela Moscarino

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