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Vincenzo
Inviato il: 25/3/2007 14:21
Staff
Registrato: 26/12/2005
Da:
Messaggi: 3870

La scelta di informare o meno il malato è un problema molto
ampio che coinvolge non solo il malato, i medici curanti ed i familiari, ma
anche la struttura sanitaria, il corpo sociale.

E' una scelta che si pone continuamente e ripetutamente lungo tutto l'iter della malattia: al momento
della diagnosi, nel corso dei diversi interventi terapeutici (operazioni,
chemio-radio terapia), nel caso di recidive, di terapie palliative e
nell'eventuale fase terminale. Ma soprattutto è un problema che investe
direttamente le fondamenta culturali ed etiche di ogni modello sociale. In
altre parole il dilemma circa la comunicazione di diagnosi e prognosi al
malato oncologico rispecchia il rapporto che una determinata cultura
intrattiene con l'idea della vulnerabilità-malattia e della
finitudine-morte.

La cultura della non-informazione, trova frequentemente nei parenti
del malato un valido sostegno all'interno di un gioco di collusioni e
reciproche deresponsabilizzazioni. Molto spesso il medico, nell'informare i
familiari, viene il più delle volte esplicitamente invitato da quest'ultimi
a non dire nulla al loro congiunto. A loro volta i familiari leggono, a
partire da questo colloquio preliminare e riservato, un'analoga intenzione,
da parte del medico, di nascondere al malato la propria condizione.

La prassi di non informare trova un supporto giuridico-deontologico nel
concetto di beneficialità, per cui l'atto medico viene legittimato dalla
necessità di fare il bene ed evitare il male del paziente.

 


----------------
Qualunque viaggio noi intraprendiamo, noi inseguiamo la felicità. Ma la felicità è qui.
Orazio Flacco

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Freddy
Inviato il: 25/3/2007 19:16
Direttore
Registrato: 25/7/2005
Da: Latina
Messaggi: 2542

Caro Vincenzo, esprimo la mia opinione in quanto (purtroppo) in un recente passato, sono stato direttamente interessato e in quanto per ben 7 anni la mia attività si è svolta nei reparti di oncologia di molte strutture laziali.

La questione è ovviamente molto delicata e l'unica certezza che mi sono fatto è che ogni caso può e deve rappresentere un caso a se, mai generalizzare quindi.

Se stiamo parlando di malati terminali o malati per i quali le speranze di sopravvivenza sono ridotte al lumicino non ti nascondo che NON dire nulla al malato mi sembrerebbe negare loro una verità alla quale hanno invece diritto di accedere. Ovviamente i tempi e i modi per far capire loro che la situazione possa precipitare, devono essere affidati al buon senso, ma nascondere totalmente che questa triste verità possa verificarsi, mi sembrerebbe ancora più crudele.

Non si dovrebbe mai, infatti, a mio parere, togliere il diritto al malato di predisporre i suoi ultimi pensieri, i suoi ultimi voleri ed iniziare a ragionare in previsione della possibilità di......

D'altro canto,  togliere ogni speranza ad una persona non sufficientemente pronta ad accettare la propria fine, non è cosa semplice e forse neanche giusta.

Insomma, come ti dicevo prima, ogni caso è un caso a se, e generalizzare proprio non si può.

Sia dal punto di vista medico che dal punto di vista umano, infine, ritengo sia indispensabile curare il più possibile la qualità della vita, porre attenzione quindi tanto al quadro clinico-fisico quanto al quadro psicologico. Oggi, ci sono molti farmaci che possono aiutare ad alleviare i dolori, a stare meglio e restituire dignità alla persona, ma l'aspetto più importante è l'affetto dei propri cari che in questi casi diventa ancora più importante di qualsiasi altra cosa.

Il resto, per chi ci crede, è nelle mani del Signore.

Freddy

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duex4
Inviato il: 26/3/2007 1:26
Registrato: 2/12/2005
Da:
Messaggi: 95

Era tanto che non scrivevo nei forum, pur frequentando e apprezzando quotidianamente il sito: ma il tema mi è troppo caro per non partecipare. Anni fa, in un un'esperienza di volontariato molto particolare mi è capitato per le mani un libro scelto un pò a lume di naso ma che ho trovato fondamentale per la mia riflessione sulla morte e il morire.

Il libro ve lo propongo con le parole di una delle tante recensioni reperibili sul web:

Elizabeth Kuebler-Ross. La Morte e il Morire. Ed Cittadella. Uno dei testi fondamentali per affrontare il problema del morente. La autrice, psicologa svizzera che lavora in USA, ha raccolto, per la prima volta, una serie di testimonianze da colloqui fatti con malati terminali ed oltre che illustrarne i problemi, propone una teoria generale della psicologia del morente. Il morente passa diverse fasi psicologiche, dalla negazione, alla accettazione, passando per la rabbia, per la contrattazione ecc. La teoria oggi è considerata incompleta ed è stata modificata da altri ricercatori, tuttavia, anche se datato (il libro è uscito nel '69), è certamente una pietra miliare nella ricerca psicologica ed un testo di grande interesse ed è la cosa migliore mai stata scritta sull'argomento. Gli ammalati parlano in prima persona, e non si indulge al pathos. Non è un libro strappalacrime, non incensa nessuno, non cerca di vendere ricette magiche né vuole auto- o etero- promuovere nessuno. Il classico dei classici, assolutamente da leggere.

http://copanoramix.altervista.org/oldpanoramix/bibliografie/morte.html"2">Chiudo con un pensiero che ho fatto mio da tanto: tutto il nostro affanno del vivere ci serve a non pensare alla morte.

Un abbraccio a tutti i naviganti.

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