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Autore Discussione
Anonimo
Inviato il: 15/2/2009 11:41
Il sol dell'avvenire di Gianfanco PANNONE

C'è chi viene messo tra le personalità letterarie di spicco della nostra provincia al pari di Pennacchi e di altri questa critica all'opera di Pannone condivisibile o meno rivela ancora una volta una volgarità grauita e senza limiti credo dovuta al fatto che chi sta giocando ha sia il pallone che il campo. 

http://www.parvapolis.it/page.php

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Anonimo
Inviato il: 16/2/2009 8:22
Re: Il sol dell'avvenire di Gianfanco PANNONE

Trailer

http://www.youtube.com/watch?v=itmniBigV2I

si può criticare discutere ma offendere mai ne negare e nemmeno non cercare di capire perchè tutto questo non succeda più. 

 

Da il Critico.com

IL SOL DELL'AVVENIRE, di G. Pannone (Ici et Ailleurs)
Festival del film di LocarnoVero e proprio "caso" di questi primi giorni di Festival, il film di Gianfranco Pannone è stato preceduto da infuocate esternazioni del poeta e -forse proprio per questo- ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi ha rilasciato ai giornali. Non è chiaro se il fedelissimo ex-coordinatore di Forza Italia abbia visto Il sol dell'avvenire prima di dichiarare ai giornali: "quel film offende le vittime del terrorismo" e "ho dato precise disposizioni perché in futuro lo Stato non finanzi più prodotti filobrigatisti". È però con un certo stupore che il pubblico presente in sala ha appreso che il primo finanziamento a Pannone è stato decretato non dal governo guidato dal sovversivo stalinista (e pure filobrigatista, via) Romano Prodi, bensì dal ministero dei Beni Culturali presieduto dal ministro, di stretta osservanza berlusconiana, Rocco Buttiglione.
La vita, direbbe Bondi con l'afflato lirico che gli è proprio, è piena di sorprese...

Scritto con Giovanni Fasanella, Il sol dell'avvenire è un documentario che ripercorre, con l'aiuto di Alberto Franceschini, Tonino Loris Paroli e Roberto Ognibene (tre ex-brigatisti usciti dalla prigione dopo aver scontato la loro pena) le riunioni dell'Appartamento, una comune reggiana formata nel 1969 da giovani delle più svariate provenienze (esuli del PCI, anarchici, trotskisti, cattolici). In quel crogiolo di ideali e di passioni tanto disparate, attraverso confronti, discussioni, tensioni ideali, fraintendimenti e terribili errori nacque, per alcuni di quei giovani, la scelta di dedicarsi alla lotta armata, dando vita a una delle colonne delle Brigate Rosse.


Lasciando per un istante da parte le polemiche del ministro-poeta, vale la pena di riferire che l'opera di Pannone è stata accolta e seguita con enorme interesse. Lontana da tentazioni apologetiche o celebrative, il film svolge esattamente il ruolo che dovrebbe spettare a un documentario, ovvero quello di enunciare dei fatti e porre dei problemi, senza aderire a tesi preconcette né orientare preventivamente lo spettatore. Pannone si occupa in primo luogo di ricostruire il clima storico-politico di fine anni Sessanta nella Reggio Emilia medaglia d'oro della Resistenza, nella città in cui il governo Tambroni aveva ammazzato cinque cittadini nel luglio del 1960, fra quella gioventù che si sentì tradita dalla scelta del PCI togliattiano di abolire qualsiasi ipotesi rivoluzionaria. Certo, sentire un dirigente locale del Partito Comunista raccontare dei contatti avuti con Franceschini dopo l'entrata in clandestinità e di "offerte" che furono fatte al futuro capo brigatista affinché ritornasse su quella decisione, può dare fastidio e rievocare la celebre definizione dell'album di famiglia coniata da Rossana Rossanda. Come può essere disturbante il distinguo di Tonino Paroli fra "il terrorismo", ovvero la violenza vile e indiscriminata delle bombe fasciste e "la lotta armata", rivolta contro bersagli più o meno dichiarati e riconoscibili. Lo stesso Fasanella, nel dibattito seguito alla fine del film, ha rifiutato questa interpretazione, ribadendo a Paroli, presente in sala, la sua condanna degli atti omicidi e criminali compiuti dalle BR (peraltro, all'epoca della "svolta militarista" delle BR, Paroli si trovava già in carcere dove è rimasto sino al compimento della sua pena). Tutto questo, val la pena di ripeterlo, può turbare e infastidire, ma è necessario. Per non smettere di interrogarsi, come invece vorrebbe lo Stato di cui Bondi è ministro, per riportare l'attenzione su un periodo fondamentale, e troppo facilmente rimosso, della storia del nostro Paese. E anche per chiedersi, come hanno fatto sia Gianfranco Pannone sia, a più riprese, Maria Fida Moro, se sia più offensivo per le vittime un film che pone dei problemi o uno Stato che ha accettato, come nel "mistero infinito" del delitto Moro, che l'unica verità ufficiale sia quella, lacunosa e contraddittoria, che i terroristi hanno deciso di raccontare.
Era allora prevedibile che Il sol dell'Avvenire suscitasse polemiche e accuse tanto da destra, quanto da sinistra. Per il PD ha provveduto, con prevedibile puntualità, un campione della retorica revisionista e pacificatrice come Luciano Violante (ovviamente senza avere visto il film). Chi invece ha voluto assistitere alla proiezione del documentario si è trovato con qualche interrogativo in più, qualche concetto preconfezionato in meno e la speranza che ci sia ancora qualcuno nel cinema italiano (e naturalmente pensiamo anche al Sorrentino de Il Divo o al Garrone di Gomorra) non del tutto arreso alla Restaurazione imperante, a quella «intossicazione delle strutture della vita, dell'organizzazione sociale e professionale, delle forme economico-politiche e democratiche, delle finalità scientifiche e tecnologiche, della religione, dei media, del pensiero, della cultura, dell'arte» che un intellettuale del calibro di Antonio Moresco denunciava con allarmante preveggenza già anni fa e che di giorno in giorno si fa sempre più insistente e pervasiva.


Teo Lorini



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