Il Portale dei quartieri di Latina Nascosa e Nuova Latina

guerra e pace

By: renatosd

renatosd - Thu 27/04/2006 or 08:21
Credo sia giusto creare questo nuovo forum riprendendo il discorso dalla discussione interrotta dal soppresso "a proposito dei rosiconi" che già da tempo era diventato un momento di riflessione importante e interessante, anche grazie ai contributi di tutti. Il fatto è dato dall'ultim'ora che ci consegna a Nassiria altri morti, anche italiani .... non voglio assolutamente dire nulla se non esprimere per l'ennesima volta il mio cordoglio e lo sdegno per una guerra ed una carneficina che ha da finire subito!!!! renato

Vincenzo - Thu 27/04/2006 or 10:32
Mi unisco anch'io al dolore per la scomparta dei militari Italiani ma tengo a sottolineare che la missione Italiana a Nassirya è una missione di PACE. I nostri soldati sono stati vittima di un vile attentato terroristico come purtroppo dall' 11 settembre ne avvengono tanti contro il mondo occidentale. Il Maggiore Mele commenta che l'attentato non cambia le finalità della nostra missione e la natura complessiva del nostro impegno, semmai lo "rafforza", continua il maggiore Mele. "La nostra missione consiste nel garantire sicurezza e assistenza umanitaria. E' il nostro compito e il nostro mandato". Vincenzo

renatosd - Thu 27/04/2006 or 10:35
x Vincenzo: Oggi manterrò un rispettoso e dovuto silenzio per l'enorme e infinito rispetto che bisogna avere per i morti. Domani ti risponderò. renato

Salvatore - Tue 02/05/2006 or 17:11
Oggi, 2 Maggio 2006, si sono celebrati i Funerali dei tre Soldati Italiani caduti a Nassiriya. Mi ero ripromesso di non intervenire su questo forum, ma alcune affermazioni sentite oggi, mi hanno fatto capire che c’è tanta disinformazione e che tanta gente parla per sentito dire e per partito preso. Lungi da me l’idea di voler “spiegare come stanno veramente le cose”; vorrei solo mettere qualche puntino sulle “i”. Sento innanzitutto il bisogno di esprimere ancora una volta il mio dolore per i nostri caduti e il mio grazie ai nostri militari che ogni giorno, in silenzio, senza clamori, con coraggio e professionalità, in Italia o all’estero, servono la nostra Patria. Detto questo, cercherò di non urtare la sensibilità di nessuno e di attenermi il più possibile a fatti facilmente verificabili da tutti. Premetto che la scelta politica di inviare le nostre truppe in Iraq può essere condivisa o meno. Specie alla luce dei tanti morti che stiamo piangendo, la posizione di chi sostiene che noi in Iraq non ci dovevamo proprio andare è legittima e rispettabile. Così come è legittima e rispettabile la posizione di chi invece ritiene giusto e doveroso l’impiego dei militari Italiani per stabilizzare un’area “calda” e per contribuire alla formazione di un mondo migliore. Almeno tutti però dovremmo concordare sul fatto che i soldati italiani non sono Forze di Occupazione e che il nostro contingente si è mosso quando la guerra era già finita. Il nostro Governo e il nostro Parlamento hanno deciso di inviare un contingente di pace allo scopo di aiutare la popolazione irachena a ricostruire il loro paese. Quindi quelle italiane sono FORZE DI PACE e non di occupazione, legittimate tra l’altro dalla risoluzione dell’ONU 1511 del 16.10.06. Le armi che i nostri militari portano al seguito sono armi di autodifesa, ed è unicamente in tal senso che le hanno sempre usate. I nostri soldati hanno funzioni di polizia militare in difesa della popolazione civile irachena, forniscono un prezioso contributo al recupero del patrimonio archeologico, promuovono la ricostruzione, distribuiscono viveri e altri generi di prima necessità, addestrano la polizia irachena, somministrano indispensabili cure mediche agli infermi e vaccini salvavita ai bambini… Queste non mi sembrano le tipiche attività di una forza di occupazione! Purtroppo, le nostre truppe di pace sono state, loro malgrado, coinvolte (anche se, per fortuna, solo marginalmente) in un “conflitto asimmetrico” (come si chiama in gergo un conflitto nel quale le truppe regolari sono contrapposte a bande di terroristi) che coinvolge principalmente le forze armate anglo-americane e la popolazione civile irachena da un lato, e i terroristi dall’altro. Quest’altra guerra, quella che si sta combattendo adesso, (e qui è bene rifuggire dalle ipocrisie: in Iraq si sta combattendo una guerra che per comodità chiameremo IIa Guerra Irachena!) non è una guerra voluta dall’Italia (né dagli americani. Quella voluta dagli americani, la Ia Guerra Irachena, si è conclusa tre anni fa); questa è una guerra senza quartiere, vile e spietata, voluta dai terroristi per la conquista del potere. La II Guerra Irachena non ha nulla di patriottico o di romantico, non è nemmeno lontanamente paragonabile alla nostra guerra di liberazione come qualcuno invece vorrebbe farci credere. È una guerra voluta da uno sparuto gruppo di spregiudicati criminali (molti dei quali godevano di enormi privilegi durante il regime di Saddam Hussein e altri che vorrebbero ritagliarsi la loro fetta di potere e di ricchezza) che, facendo leva sull’ignoranza, sulla miseria e sul fanatismo religioso, cercano di conseguire i loro biechi obiettivi. Obiettivi che di nobile o di religioso non hanno veramente niente: questi terroristi vogliono far precipitare l’Iraq (paese libero e sovrano, come sancito nella risoluzione ONU 1546 del 08.06.04) nel caos totale, vogliono indurre le truppe occidentali ad una precipitosa fuga al fine di rovesciare facilmente il debole governo democraticamente eletto e fare dell’Iraq il loro feudo dove riattivare la loro spietata e sanguinaria dittatura, dove esercitare il loro minaccioso e dispotico potere e far precipitare il popolo in uno stato di spaventosa schiavitù, peggiore, se possibile, di quella di Saddam Hussein. Fin qui i fatti. Spero di non offendere o contrariare nessuno se, timidamente e in via del tutto personale esprimo qualche dubbio sull’onestà morale di chi considera come già matematicamente dimostrata l’equazione Bush = Saddam o, peggio, Bush = Bin Laden! Ma qui, lo riconosco, abbiamo abbandonato il solido terreno dei fatti, e stiamo percorrendo l’insidioso campo delle opinioni. Salvatore

giucap - Wed 03/05/2006 or 08:29
Caro Salvatore, ho l'impressione che anche buona parte di quelli che tu chiami fatti siano opinioni. Quanto meno anche l'omissione di altrri fatti può costituire un'opinione. E' un fatto che l'Europa, in quanto tale, non abbia preso alcuna decisione comune sull'argomento, e che paesi importanti, con governi di centro-destra e di centro-sinistra (Francia e Germania) abbiano deciso di non partecipare a questa "operazione di pace", magari per non legittimare la pratica della guerra preventiva unilaterale. Anche dividire la guerra in due fasi è alquanto arbitrario: negli stessi Stati Uniti molti, anche tra le forze armate, hanno contestato e ancora contestano l'affermazione di fine della guerra fatta a suo tempo da Bush. La "battaglia dei ponti" ha dimostrato che il concetto di missione di pace, in un contesto di guerra, diventa molto aleatorio. Il regime di Saddam era molto meno "invasivo" e liberticida di quello, ad esempio, Saudita; fino a quando si è contrapposto all'Iran degli Ayatollah è stato vezzeggiato dall'occidente (evidentemente non troppo lungimirante nella scelta degli amici, vedi anche il caso Afganistan). Saddam ha fatto il grandissimo errore di contare su questa amicizia per invadere il Kuwait, nella speranza (in quel momento non del tutto infondata) di farla franca. Fortunatamente la comunità internazionale ha reagito, non per restituire la democrazia al Kuwait (che non sa cosa sia), ma per salvaguardare l'integrità territoriale di un Paese riconosciuto dalle Nazioni Unite. Purtroppo sull'argomento si è sentita troppa cattiva propaganda e troppe sono state le menzogne, per avere voglia anche solo di ricordarne alcune. Però vorrei vedere te, Salvatore, se ti invadessero l'amata Patria: ci sarà pure qualcuno che in buona fede vede il governo come eteroguidato dagli USA? Come mai il Sen. Andreotti, in una delle poche dichiarazioni "politiche" durante la corsa per la seconda carica dello Stato, ha detto "L'Iraq agli Iracheni"? Saddam nel processo giustifica le stragi compiute come giusta punizione per chi ha attentato alla sua persona: credi che in Arabia Saudita funzioni diversamente? Immagino tu sappia che i Sauditi siano i maggiori finanziatori del terrorismo internazionale, ma sono anche i principali alleati degli USA. Non lo fanno perché sono "cattivi": pagano il pizzo per evitare problemi interni, contro il rovesciamento di un regime che in molti vedono come troppo compromesso con il "grande satana". Se volessimo veramente lottare contro il terrorismo, forse dovremmo rivedere gli obiettivi (non dico che sarebbe giusto farlo, ma almeno basta ipocrisia!) Ovviamente anche le mie sono opinioni, esattamente come le tue; anch'io credo che tali opinioni sia supportate da fatti inconfutabili, proprio come te. Se la questione fosse semplice come tu la dipingi, avremmo un bel pacco di governi che si comportano da mentecatti (per tralasciare una buona fetta dell'opinione pubblica, sulla quale non nutro però grandissima fiducia). Invece la situazione è molto più complicata e personalmente avrei preferito di gran lunga che l'Italia avesse promosso un'azione comune in Europa per evitare l'attacco e tutto quel che ne è seguito; andare poi in missione, anche se dichiaratamente di pace, con tutti gli sforzi e gli equilibrismi che i nostri laggiù staranno sicuramente compiendo, non ci salva dal fatto che si possa essere percepiti come esercito di occupazione, con tutto quel che segue. Riportare a casa i militari non sarebbe una fuga, se si trovasse il modo, in ambito europeo, di organizzare consistenti aiuti umanitari civili, contribuendo in modo importante alla ricostruzione civile del Paese (che certo non si è distrutto da solo). Un caro saluto Giulio

renatosd - Wed 03/05/2006 or 10:59
C'è un problema interpretativo sulle condizioni dell'Iraq al momento del nostro intervento ... senza voler ritornare alle diverse interpretazioni dei reali motivi che hanno condotto alla guerra in Iraq e se vogliamo anche più in la dall'embargo ed alle diverse visioni che possiamo avere sulla politica internazionale (in tal senso mi sono già espresso nella discussione su questo sito "a proposito dei rosiconi" dove ho riportato molti spunti più o meno condivisibili di Gino Strada che comunque è persona che in quei posti opera con la sua associazione Emergency ... vorrei introdurre degli elementi di discussione (spero sereni e senza strumentalizzazioni)... Si è parlato di un intervento Italiano di "Peace Keeping" ma nel termine inglese rileggo la contraddizione di una condizione impraticabile. Peace Keeping letteralmente mantenimento della pace ma c'è da chiedersi se questa pace vi fosse in un territorio dove dopo la caduta di Saddam non vi era un solo conflitto ma volendo generalizzare ben due grandi conflitti. Il primo dato dalla contraposizione tra le forze occidentali e l'esercito irregolare di resistenza e l'altra in seno a quest'ultima che si configura come una vera e propria guerra civile tra le varie anime del paese islamico ed in particolare quelle che fanno capo all'Islam iraniano e quello dell'ex partito di Saddam, senza contare le varie tribù ed i curdi da sempre soggiogati ed oppressi. Allora io mi chiedo se era lecito parlare di peace keeping in un paese dove la "peace" era ed è tuttora ben lungi da venire. Questo è il punto nodale ... la guerra era davvero finita con la caduta di Saddam??? Io non nego l'intenzione pacificatrice del nostro intervento ma che in compresenza di quella che nel conflitto ancora in corso era ancora vista come forza d'invasione non poteva essere riconosciuta come tale ma più semplicemente quale supporto logistico armato su specifici territori (non credo che esistano armi di pace e armi di guerra, sarò banale ma per me un mitra è solo un mitra e uccide un essere umano). Una operazione di Peace Keeping si potrebbe attuare solo dopo che la pace o almeno la tregua sul campo è stata ottenuta. Andare via non deve essere letto come abbandono alle scorribande delle tribù per farli scannare in una guerra civile ma per sostituire le forze armate presenti con una reale missione internazionale, senza la presenza osteggiata degli stati uniti, che ha come scopo principale la ricostruzione del territorio devastato e ciò può essere fatto solo con un'imponente azione diplomatica. Tutto quanto suddetto è ovviamente molto semplificato e nessuno ha in tasca verità precostituite. Io semplicemente non ho mai creduto ed ho contestato l'asserzione e la lettura che la guerra fosse finita ... a me sembra che non lo fosse allora e non lo è tuttora anzi le guerre gemmano, si moltiplicano e si riaprono vecchi scenari in cui si inserisce il vecchio nemico dell'alleanza Saddam-USA ovvero l'Iran, la cui comunità è sempre stata presente in Iraq. Per quanto riguarda gli slogan Bush=saddam ecc non mi appassionano come d'altronde tutti gli slogan in generale e qui riprendo (e scusate se mi dilungo) il bel testo di una canzone di Daniele Silvestri che invita lo stesso popolo della sinistra a ripensare le parole dette nel "gruppo": "Ti è mai venuto in mente che a forza di gridare la rabbia della gente non fa che aumentare la forza certamente deriva dall'unione ma il rischio è che la forza soverchi la ragione Immagina uno slogan detto da una voce sola è debole, ridicolo, è un uccello che non vola ma lascia che si uniscano le voci di una folla e allora avrai l'effetto di un aereo che decolla La gente che grida parole violente non vede, non sente, non pensa per niente Non mi devi giudicare male anch'io ho tanta voglia di gridare ma è del tuo coro che ho paura perché lo slogan è fascista di natura Quando applaudi in un teatro, quando preghi in una chiesa quando canti in uno stadio oppure in una discoteca Sei tu quello che canta, è il tuo fiato che esce ma il suono intorno è immenso e cresce, cresce Il numero è importante, dà peso alle parole per questo tu ogni volta prima pensale da sole e se ci trovi il minimo indizio di violenza ricorda che si eleverà all'ennesima potenza ..." renato malinconico

Salvatore - Wed 03/05/2006 or 11:29
Caro Giulio, Non avevo certo la pretesa di sviscerare tutti gli antefatti storici o di dimostrare che l’intervento è o non è giusto. È solo che dopo aver sentito (non su questo sito per fortuna ma, purtroppo, la mia molla interna è scattata lo stesso) la solita storia sul fatto che le nostre sono truppe di occupazione, e che sono lì per opprimere il popolo Iracheno, sentivo il bisogno di uno sfogo. Ripeto, la giustezza e l’opportunità della nostra presenza sono opinabili e non voglio minimamente entrare nel merito per non creare sterili polveroni. Quello che intendevo fare, era puntualizzare che le nostre sono Forze di Pace e che non stanno occupando o opprimendo proprio un bel niente. Che poi il petardo c’è scoppiato in faccia… è un altro doloroso discorso. Caro Renato, quando Bush dichiarò trionfalmente che la guerra era finita, si riferiva alla guerra mossa dalle forze armate Americane contro l’esercito regolare Iracheno al fine di far cadere il regime di Saddam Hussein (quella che io ho chiamato Prima Guerra Irachena). Poi ne è scoppiata un’altra, di ben diversa natura (Seconda Guerra Irachena) che tu hai abilmente descritto. La seconda è sicuramente figlia della prima, ma bisogna convenire che probabilmente neanche i più illuminati strateghi del Pentagono avevano previsto ciò. Anzi, a mio parere gli americani si aspettavano un’accoglienza trionfale (modello ingresso delle truppe del generale Clark a Roma) che invece non hanno avuto. Per quanto riguarda l’incongruenza del termine “peace-keeping” ti rispondo tecnicamente: le missioni di pace hanno una “escalation”; il gradino successivo a “peace-keeping” è “peace-enforcing” ma comunque si tratta sempre di missioni di pace. Ciao Salvatore

renatosd - Wed 03/05/2006 or 11:50
Molto serenamente ... non credo che il problema centrale sia se le nostre truppe fossero o meno forze di occupazione nelle intenzioni, anzi ammettiamo pure che qui in Italia fossimo stati tutti più o meno convinti che non lo fossero,il problema è la percezione che il popolo Iracheno ha avuto dell'esercito Italiano dislocato sul territorio agli ordini dello stesso comando USA ed in una condizione generalizzata di conflitto e di contrapposizione. Lo stesso termine peace-enforcing è un ossimoro, contraddittorio come tutto il resto d'altronde ... renato

Salvatore - Wed 03/05/2006 or 12:11
Che ti dicevo?! ...il petardo ci è scoppiato in faccia! Salvatore

giucap - Wed 03/05/2006 or 12:21
Caro Salvatore, il mio intervento era volto a "smontare" l'asserita obiettività del tuo (con simpatia). ;-) Poi restano le legittime differenze di opinione. A me non piace, come penso di aver ripetuto alla noia, andare per semplificazioni e manicheismi: siccome alcuni "pacifisti" o manifestanti vari fanno stravaganti equazioni Bush=Saddam o italiani = forza di occupazione, vuol dire che tutto il movimento pacifista è nel torto. Io per la verità contesto che, nella situazione data, un intervento dichiarato come di pacificazione possa effettivamente esserlo, aldilà delle intenzioni. Forse per questo altri importanti Paesi hanno evitato di intervenire, o se ne sono andati. Oppure ritieni che noi, essendo lì, abbiamo un primato morale sugli altri? Ovvero che gli altri siano complici del terrorismo (altra bella equazione)? Siamo nell'ambito della politica internazionale, dove penso sia ammesso lo scambio di libere opinioni, nel presupposto che chi le esprime non sia né vigliacco né guerrafondaio. Tutto qui Un caro saluto Giulio

renatosd - Wed 03/05/2006 or 12:43
no perchè dici che il petardo ci è scoppiato in faccia ... mi sembra che mai come stavolta la discussione sia civile e misurata ... è logico abbiamo diverse opinioni e ne stiamo parlando ... ma non fasciamoci la testa se no davvero non discuteremo più di nulla o peggio parleremo di chi vince il grande fratello e il campionato ... nooo 10.000 volte meglio scambiare opinioni con te e se a qualcuno non interessa può cambiare discussione, sito ecc ecc. Non facciamoci dell'autoterrorismo. renato

Salvatore - Wed 03/05/2006 or 15:32
Renato, mi sono espresso male. Dicendo che il petardo ci è scoppiato in faccia non mi riferivo alle nostre interessanti (ma nel contesto generale insignificanti) discussioni. Mi riferivo all'Italia. Abbiamo mandato in Iraq delle truppe di pace, e stiamo riportando i soldati a casa avvolti nel Tricolore. Ciao Salvatore

renatosd - Wed 03/05/2006 or 15:54
si ... è vero ... scusami ma sai di questi tempi .... meglio così ... certo non possiamo cambiare noi le cose nell'immediato ma parlandone e prendendo in considerazione altri punti di vista possiamo tentare di allargare i nostri orizzonti .... e ti pare poco?? Qualcuno a questo punto potrebbe ironizzare ... ma credo che se anche nell'immediato siamo portati, incosciamente ed anche un po' irresponsabilmente, ad arroccarci sulle posizioni di partenza, con il tempo tutto viene metabolizzato e non dico che si arrivi a cambiare idea, sebbene sia possibile anche questo, ma si ha comunque un quadro più complessivo e argomentazioni più varie e mature sul tema. renato

Salvatore - Wed 03/05/2006 or 18:37
Fuori tema... ma non troppo! Il 5 maggio alle ore 10:30 presso la galleria d’Arte Moderna e Contemporanea sarà inaugurata la mostra fotografica intitolata "Pace, Shalom, Salam". Chi volesse approfondire: http://www.comune.latina.it/news.php Salvatore

Mayhem - Thu 04/05/2006 or 09:25
Scusate se entro nel dibattito. Io invece credo che il problema sia proprio considerare i nostri soldati come truppe di occupazione che spacca in due l'Italia. Io non li considero tali e vengo regolarmente bersagliato dai miei "amici" di sinistra come uno che è per la guerra, uno che è contro la pace. Ma quante stupidaggini vengono dette? Il problema sono le conclusioni affrettate e decisamente sbagliate di molti personaggi che legano insieme pace e principi che non centrano niente...qualcuno qui ha detto che si può tornare sui suoi passi, quando vedrò uno degli "amici" suddetti farlo sarò il primo a gridare Eureka!

Vincenzo - Thu 04/05/2006 or 09:39
Mayhem, per prima cosa Benvenuto tra noi. Quello che affermi è cosa risaputa infatti da sempre c'è la convinzione che la CdL è per la "guerra" mentre l'Unione è per la "pace". Hai perfettamente ragione ma, a quanto pare alla sinistra ha fatto "comodo" caldeggiare questa situazione per poter in campagna elettorale avere più consensi mentre lo sanno anche i "sassi" che la nostra è una missione di Pace ed umanitaria. Certo la realtà è stata diversa, molto diversa ed ora ci troviamo a piangere i nostri morti. Vedremo cosa farà il nuovo Governo....chi vivrà vedrà. Saluti Vincenzo

Alex - Thu 04/05/2006 or 10:24
Benvenuto a Mayhem anche da parte mia. Suggerisco di non generalizzare su questo tema, nel senso che non tutti a sinistra la pensano così. Ci sono, è vero, individui che non sanno vedere piu' in la' di quando non gli consenta l'idea politica od il partito in cui credono, ma credo che questa affermazione possa trovare conferma in tutti gli schieramenti. Mi sentivo in dovere di intervenire su questo aspetto per onore della verità e per gli amici che ho in quello schieramento e che rispetto e stimo dal profondo. Sul resto non mi esprimo per non innescare nuove polemiche. Un vicino di casa.

giucap - Thu 04/05/2006 or 10:51
Caspita, si era partiti da disquisizioni argomentate e si finisce con gli slogan e la propaganda. Me ne dispiaccio e mi avvalgo della facoltà di non rispondere. ;-) Un caro saluto Giulio

Alex - Thu 04/05/2006 or 10:53
Scusa Giulio, per chiarezza, il tuo commento è rivolto al mio? ... Comincio a temere di non riuscire più a spiegarmi bene ...

giucap - Thu 04/05/2006 or 11:48
Alex, Scusa se non sono stato chiaro. La risposta alla tua domanda è: assolutamente no. Un caro saluto Giulio

Raffa - Thu 04/05/2006 or 12:27
Scusate anche me, ma vorrei sottolineare una cosa. I morti che abbiamo pianto e quelli che piangiamo ora non sono mica morti perchè erano andati "al fronte" a sparare ed uccidere! Sono morti perchè attentatori con auto bomba li hanno seguiti ed "attentati". Loro erano lì che svolgevano il loro servizio umanitario e gli attentatori del posto li hanno colpiti. Non capisco proprio perchè qualcuno qui abbia detto che ci nascondiamo dietro alla parola "servizio umanitario" per mandare i nostri soldati invece che a far pace a fare la guerra! Questo è un affronto alla memoria di questi grandi lavoratori morti sul lavoro, non in campo!La maggior parte di loro sono morti dentro alla loro caserma!!!! Inoltre credo che se i nostri soldati fossero andati davvero in guerra, oggi ne avremmo pianti di meno! Saluti Raffaella

giucap - Thu 04/05/2006 or 12:45
Raffaella ho provato a scorrere di nuovo gli interventi del forum ma non ho trovato quello a cui ti riferisci ("Non capisco proprio perchè qualcuno qui abbia detto che ci nascondiamo dietro alla parola "servizio umanitario" per mandare i nostri soldati invece che a far pace a fare la guerra!"). Per il resto non ho altro da aggiungere a quanto già scritto in precedenza. In generale (non come risposta a Raffaella e senza offesa per nessuno) prima di intervenire in un forum mi leggo quanto è stato scritto dagli altri, faccio del mio meglio per comprenderlo (anche se a volte non condivido) e poi provo a dire la mia (se ritengo di avere qualcosa da dire), sempre con l'intenzione di non offendere o criminalizzare nessuno. Quando trovo dei forum in cui capisco che tutti adottano un metodo similare, mi "diverto" e partecipo, altrimenti mi taccio. Non chiedo di essere imitato, dichiaro solo alla luce del sole il mio metodo, casomai qualcuno ne fosse interessato, anche per decifrare le mancate risposte (più o meno frequenti). Un caro saluto Giulio

Raffa - Thu 04/05/2006 or 13:27
Giulio dalla discussione che ha innescato questa: /modules/newbb/viewtopic.php Vorrei rispondere alle tue affermazioni riguardo il fatto di leggere, capire e poi parlare. Credo che tu avresti il pieno della ragione se le regole del gioco fossero: "ATTENERSI RIGOROSAMENTE AD AFFERMAZIONI FATTE NEL FORUM". (che poi è quello che ho fatto)...Il fatto che io abbia riportato citazioni di qualcuno fatte in un altro forum (che poi è quello che ha innescato quest'altro e che prima si chiamava "a proposito di rosiconi"), non vuol dire che sia stata poco attenta alle affermazioni fatte su questo forum, ho semplicemente citato qualcosa che non mi era piaciuto e che calzava perfettamente con quanto stavo scrivendo. Nessuna offesa, certo, peccato però che su questo sito non si riesca a parlare senza subire morali e richiami all'ordine....quale ordine poi.?...non mi risulta che ci siano dei copioni da rispettare. Saluti Raffaella

Mayhem - Thu 04/05/2006 or 21:52
attenta che stai provocando, con le tue ragioni potresti provocare le ire di qualcuno ferito nella sua fede politica ... già hanno cominciato con il vittimismo, il prossimo passo è quello di alterarsi e poi arriveranno a darti del nazista ... io ti ho avvisato.

Salvatore - Fri 05/05/2006 or 17:26
5 maggio 2006 Desidero esprimere il mio dolore e il mio cordoglio per la morte dei nostri Soldati del contingente ISAF vittime di un vile attentato a Kabul. Ai feriti i migliori auguri di pronta guarigione. Rivolgo un invito a tutti gli utenti: mostriamo il nostro patriottismo, senza strumentalizzazioni. Salvatore

salvio - Fri 05/05/2006 or 17:42
Esprimo il mio dolore per i caduti e la mia preoccupazione per i tanti colleghi presenti in quell'area. Salvio

Mayhem - Fri 05/05/2006 or 19:57
Onore ai nostri caduti. Che l'Italia aiuti e protegga le loro famiglie. Viva l'Italia.

Vincenzo - Sat 06/05/2006 or 09:59
Mi unisco al dolore per la scompara dei nostri soldati caduti. Vincenzo

Raffa - Sat 06/05/2006 or 21:12
Caro Giovanni, grazie per l'avviso, ma corro volentieri il rischio. Non bisogna essere limitati nel dire la propria per paura di appellativi che ci vengono dati....peggio per chi non vuole capire e rimane sulle sue posizioni senza aprire la mente! Ciao Raffaella

Salvatore - Sun 07/05/2006 or 19:41
Purtroppo l’unico superstite del vile attentato a Nassiriya del 27 aprile scorso è morto dopo dieci giorni di agonia. Un’altra vittima del terrorismo. Un altro Carabiniere che ha immolato la sua vita per il nostro Paese. Le più sentite condoglianze ai familiari. Salvatore

Salvatore - Mon 08/05/2006 or 10:11
[quote] Raffa ha scritto: ...grandi lavoratori morti sul lavoro... [/quote] Cara Raffaella, prendo spunto dalla tua affermazione per fare qualche considerazione: 1) Forse il giuramento di fedeltà di un militare potrebbe essere paragonato alla firma di un contratto di lavoro… se quello del militare non fosse un lavoro particolare. Infatti al militare è richiesta la dedizione totale… fino all’estremo sacrificio della vita. Siccome non mi risulta che ci siano altri datori di lavoro che hanno il diritto di richiedere ai loro dipendenti il sacrificio supremo, penso che parlare di “gran lavoratori morti sul lavoro” sia un po’ riduttivo: Mi sembra più corretto dire che i Soldati che stiamo piangendo in questi giorni hanno immolato la loro vita per il nostro Paese. 2) Nei giorni scorsi abbiamo discusso animatamente per catalogare la natura della missione “Antica Babilonia”: le nostre truppe sono forze di pace o di occupazione? Mentre questa distinzione è importante a livello politico e diplomatico, è utile per dare un giudizio sull’operato del Governo, è fondamentale per chiedere o meno il ritiro dei nostri soldati, mi spiegate che differenza fa al fine di piangere e onorare i nostri Caduti? Se anche le nostre truppe fossero truppe di occupazione, forse che la morte dei nostri soldati sarebbe meno onorevole? Potremmo scaricare su di loro le “colpe” di chi li ha mandati? Potremmo allora trattare le loro famiglie come degli appestati? No cari miei! Se anche le nostre truppe fossero truppe di occupazione, i nostri soldati morti sarebbero comunque NOSTRI CONCITTADINI CHE HANNO DONATO LA VITA PER LA PATRIA. Il valore del loro sacrificio non cambierebbe di una virgola! Quindi, smettiamola di speculare sul dolore altrui. Una discussione serena sull’opportunità della nostra missione in Iraq (o in Afghanistan o in Kosovo o in Bosnia) non deve, a mio parere, fare facile leva sulle emozioni e sulle tragedie altrui. Un caro saluto. Salvatore

giucap - Tue 09/05/2006 or 07:45
Carissimi/e, il dolore per i caduti è fuori discussione. Avevo già espresso in passato, però, il mio pensiero: il dolore non ha bandiera, non è che se muore un inglese, un americano o un iracheno io sia meno addolorato. Diciamo che la retorica patriottica non è il mio forte, e che per me un essere umano è un essere umano, prescindendo da altri appellativi. Poi condivido quanto detto da Salvatore: i morti sono morti, indipendentemente dalle circostanze. Aggiungo però, beato il popolo che non ha bisogno di eroi! Una postilla per Raffaella: sollecitare l'apertura mentale altrui a mio avviso presuppone l'esclusiva della verità; magari sbaglio, ma penso che qui si stiano esprimendo solo legittime opinioni. Un caro saluto Giulio

Raffa - Tue 09/05/2006 or 11:41
Caro Salvatore, nulla da dire. Concordo in pieno su tutto quello che hai detto. Missione di guerra o di pace, al Soldato, che per il suo lavoro deve eseguire gli ordini, va riconosciuta tutta la nostra stima per il solo fatto di non tirarsi indietro. Quando nel mio precedente scritto ho tenuto ha sottolineare che i nostri soldati sono lì per difendere la Pace e la Democrazia, non intendevo sminuire in alcun modo il loro lavoro ed i compiti a loro assegnati, ma mi premeva sottolineare che comunque non sono andati in guerra come molti affermano (usandoli come mezzo per dire contro il Governo che ce li ha mandati). Per il resto nulla da aggiungere, hai dato un quadro esauriente della questione. Un saluto. Raffaella

Vincenzo - Tue 09/05/2006 or 15:41
Renato, mi consenti.... La discussione in oggetto io l'avrei chiamata "Missione Italiana all'estero" e non "guerra e pace". Questo per evitare il posizionamento da una parte o dall'altra dei vari schieramenti politici che strumentalizzano le parole "guerra e pace" secondo i loro comodi per "pizzicarsi" l'uno contro l'altro. Saluti Vincenzo

Baol - Wed 10/05/2006 or 12:07
Per Giucap: "Il solo modo di abolire la guerra è quello di rendere eroica la pace". Hinton

Mayhem - Wed 10/05/2006 or 18:02
da Hegel il mio filosofo preferito L'uomo non è altro che la serie delle sue azioni. Non c'è alcun pretore, al massimo arbitri o mediatori tra stati, e anche questi soltanto in modo accidentale, cioè secondo volontà particolari. La concezione kantiana di pace perpetua, grazie a una federazione di stati, alla quale appianasse ogni controversia, e come un potere riconosciuto da ciascun singolo stato componesse ogni discordia, e con ciò rendesse impossibile la decisione per mezzo della guerra, presuppone la concordia fra gli stati, la quale riposerebbe su fondamenti e riguardi morali, religiosi o quali siano, in genere sempre su volontà sovrane particolari, e grazie a ciò rimarrebbe affetta da accidentalità.

giucap - Thu 11/05/2006 or 08:02
Carissimi/e stiamo toccando temi alti e con un certo timore provo a cimentarmi senza citazioni (ovvero senza rete). Sia Baol che Mayhem pongono secondo me l'accento su pensieri che hanno il loro cardine nella situazione presente, a bocce ferme (in economia si direbbe nel breve periodo). Hegel scrive nell'ottocento, e debbo dire che il testo riportato risulta ancora attuale (di mio aggiungo "purtroppo"). L'immagine suggerita da Baol è meno pragmatica ma forse per questo più suggestiva ed affascinante, ci vuole dare semplicemente una speranza. Io penso che, dai tempi di Hegel, qualche passo avanti sia stato fatto, dopo essere passati per l'inferno delle due guerre mondiali. L'Europa, generatrice dei due grandi conflitti, sembra aver imparato la lezione: l'europeismo, il superamento del nazionalismo "mistico", potrebbe essere la risposta da estendere a livello planetario. Secondo me le guerre hanno origine dall'esasperazione delle differenze: nazionalismo ed integralismo religioso ne sono il presupposto culturale. Per questo ritengo che occorreranno ancora generazioni prima che il processo, faticosamente avviato in Europa, possa estendersi a tutto il globo. Oppure abbiamo bisogno di un "nemico" esterno per capire che il genere umano è un tutt'uno? Nel film "Independence Day" (un'americanata per altri versi non troppo digeribile) gli umani si uniscono, senza distinzioni di nazionalità o religione, per difendersi dalla minaccia aliena: guerra finale basata ancora una volta sull'estremizzazione delle differenze e sull'incomunicabilità. Certo nei film si semplifica parecchio: i buoni da una parte ed i cattivi dall'altra (come avviene nella realtà anche in tanta retorica patriottica), e la soluzione viene comunque affidata alle armi, ma il messaggio che le differenze tra gli esseri umani siano un'inezia trascurabile mi sembra comunque interessante. Quando questo sarà patrimonio largamente condiviso a mio avviso avremo fatto il più importante passo avanti verso una cultura della pace. Un caro saluto. Giulio

Baol - Sun 14/05/2006 or 12:26
Caro Giucap, trovo i tuoi interventi interessanti e profondi; utili alle mie riflessioni. Hai ragione le guerre traggono origine dall'esasperazione delle differenze; quindi non credo possa essere sufficiente dire no alla guerra; è necessario negare, esprimendo il proprio rifiuto nei confronti di una mentalità che ha incorporata la guerra, che accetta la violenza nel suo agire quotidiano. Per guerra non intendo solo quella in cui si sganciano le bombe, con identica angoscia guardo agli esseri umani che muoiono per fame, ad un Occidente che pur rappresentando un quinto della popolazione del pianeta consuma l'80% delle sue risorse, al crescente divario tra ricchi e poveri, all'incrudelirsi dell'economia, alla logica della prevaricazione e dell'individualismo... Insomma credo sia questo il substrato che nutre l'odio, che rende difficile all'umanità sentirsi un tutt'uno, che lascia aperta la via della violenza. La radice della guerra è presente anche nella vita quotidiana, nella nostra normalità. E' giusto guardare all'Europa con speranza; siamo stati capaci di lasciarci alle spalle un passato di lotte e di guerre terribili; dobbiamo ancora imparare a sentirci europei e non solo italiani francesi tedeschi ecc. ecc. siamo ancora al principio di un cammino che spero possa davvero estendersi a tutto il globo. Un caro saluto Francesca

giucap - Sun 14/05/2006 or 16:55
Cara Baol, non posso che concordare. Ci sarebbe ancora altro da aggiungere alla lista, ma mi sembra che quanto scritto sia più che sufficiente come base di riflessione anche sul nostro quotidiano, senza lasciarsi sopraffare dal pessimismo (e non è facile!). Un caro saluto Giulio P.S. (privato): ma il tuo nick ha a che fare con l'amatissimo Lupo?

Baol - Mon 15/05/2006 or 07:27
No, nessun lupo, solo il romanzo di Stefano Benni, baol... Ciao Francesca

giucap - Mon 15/05/2006 or 08:02
Cara Baol, forse sarebbe meglio non immischiare tutto il sito, ma non so come raggiungerti altrimenti. Il Lupo E' Stefano Benni, ovvero come lui stesso si fa chiamare dai suoi fans. Basta collegarsi al sito ufficiale (stefanobenni.it) per averne conferma. Penso di aver letto tutta la sua produzione letteraria, più parecchi degli articoli pubblicati, a partire dal 1978 (anno in cui ho iniziato a seguirlo) su Panorama. Un giorno magari mi spiegherai perché proprio Baol. Se non avessi usato la mia abbreviazione (che coincide con l'indirizzo di posta elettronica) forse avrei scelto Grande #OOPS# in suo onore. Un caro saluto. Giulio P.S.:la parola "oopsata" comincia con Basta e finisce con rdo, ma Benni la usa in senso positivo, per valorizzare le mescolanze; mi rendo conto che a volte la censura automatica non consente le sfumature, ma tant'è.

Vincenzo - Mon 15/05/2006 or 09:01
Per Giulio e Francesca, entrando nella sezione "Menù utente" del destinatario e premendo il tasto "PM" si ha la possibilità di trasmettere messaggi ad un singolo utente (privato anzichè pubblico). Lo stesso viene visualizzato nella parte sinistra della Home page, sempre nel Menù utente "Messaggi in arrivo". Un Saluto Vincenzo

Baol - Mon 15/05/2006 or 18:46
Ti ringrazio Vincenzo, non lo sapevo; per Giucap, grazie per avermi illuminato sul Lupo, non ero informata, non ho mai visitato il sito, ho solo i suoi libri. Volendo per esempio aprire un forum per parlare di libri, sempre che vi interessi, dove si potrebbe inserire; ci vorrebbe un'area designata come "cultura"... ? Se vi interessa datemi una mano, grazie ciao Francesca

Salvatore - Thu 08/06/2006 or 11:00
Per lavoro non ho potuto esprimere prima il mio dolore per la morte del caporale Alessandro Pibiri. Salvatore

Vincenzo - Thu 08/06/2006 or 13:45
Non per essere polemico. Ma i 5.000 morti del terremoto (probabilmente di serie B o anche Z) nessuno si è preoppupato di dire una, dico UNA sola parola.... Certo non c'erano Italiani tra le vittime ! Vi invito a leggere la discusisone "Terremoto in Indonesia" dove facevo appunto tali considerazioni. Vincenzo

Salvatore - Thu 08/06/2006 or 19:36
Caro Vincenzo, Considerare i morti tutti uguali è una innocente ma ipocrita messinscena che di tanto in tanto setiamo il dovere di mettere in campo per tacitare la nostra coscienza o per apparire “politically correct”. E' ovvio che i morti non sono tutti uguali! La morte di una persona vicina (parente, amico, concittadino, connazionale) ci tocca molto di più della morte di un perfetto sconosciuto che abita dall’altra parte del pianeta. E dico ciò col massimo rispetto per ogni vita umana. Saluti Salvatore

Freddy - Thu 08/06/2006 or 22:04
Sono assolutamente d'accordo con Salvatore, anche se devo dire che l'enfasi data alla morte di un nostro connazionale, rispetto alla quasi sottaciuta morte di migliaia di persone, bambini compresi, nell'ultimo terremoto, ma anche, in altre situazioni, in svariate altre parti del mondo, mi sembra un tantino esagerata. E' pur vero però, e in questo sono d'accordo con Salvatore, che a volte si vedono (anche pubblicamente) scene di persone falsamente rattristite che sarebbe meglio ci venissero risparmiate. Conosco abbastanza bene Vincenzo e, scanso equivoci, so che lui la tragedia dell'indonesia l'ha sentita veramente. Non credo, però, si possa mai prescindere dall'umana disomogeneità di emozione che ci può provocare la morte di una persona a noi vicina, in termini di parentela, amicizia, origine, cittadinanza e nazionalità, rispetto ad una di cui non sappiamo quasi nulla. Da qui deriva, ovviamente, il senso del patriottismo e della connazionalità. Tutto questo, direi, è normale e fa parte del regno animale, al quale vuoi o non vuoi, con le dovute differenze, apparteniamo. Inoltre, la condivisione di una storia, di una lingua, di una religione ( e quindi di un modo di essere ) dei valori in genere, sono tutte cose che ci uniscono. Non è possibile rendercene conto solamente nelle occasioni quali quella dei mondiali di calcio che stanno per iniziare. E' per questo motivo che io e poche altre persone (sicuramente Salvatore), abbiamo esposto la bandiera nazionale già da qualche tempo. Sono morti dei NOSTRI ragazzi, e se pure mi sforzo di pensare che sono solo alcuni tra i tanti, per loro mi sento un pò più triste. Questa è la mia verità ! freddy

giucap - Fri 09/06/2006 or 07:38
Sorry, mi associo alla posizione di Vincenzo, come avevo già fatto nel forum sul terremoto in Indonesia. Certo se muore una persona che conosco, le mie sensazioni ed i miei sentimenti saranno diversi: ritornerò con la memoria ai momenti ed alle sitiazioni condivise, mi commuoverò pensando al dolore dei parenti, avendo con la persona stessa affinità reali, e non solo anagrafiche (essere casualmente nati nello stesso territorio); pertanto indipendentemente dalla nazionalità dell'amico (o amica). Infatti i giornali si affrettano a darci tutte le notizie possibili dei connazionali morti a noi sconosciuti, proprio per indurci simili sentimenti. E se questo venisse fatto per il sergente inglese saltato in aria cinque giorni fa? Anche lui ha la sua storia, i suoi affetti, insomma la sua VITA. Oppure si può pensare ad un fattore di conversione: mi dolgo nella stessa misura per la morte di un italiano, oppure di 5 inglesi (sono Europeista!), 7 americani, 12 rumeni, 1500 irakeni? Non so perché il sentirsi parte del genere umano senza distinzioni nazionali (peraltro transitorie, come la storia ci insegna) debba essere visto come ipocrisia o esercizio (falso?!?) di politically correct. Non potrebbe semplicemente essere un altro punto di vista? In settimana ho avuto la fortuna di vedere un film ("Accadde in aprile") sul genocidio in Ruanda dei Tutsi ad opera degli Hutu: lì c'è un bell'esempio dell'aberrazione cui può portare l'etnocentrismo (o nazionalismo sentimentale), non solo dei locali ma anche degli occidentali. Un caro saluto Giulio

Freddy - Fri 09/06/2006 or 09:24
Comprendo tutto tranne il "sorry" iniziale (ma probabilmente era solo una forma elegante per introdurre il post). Di che ti scusi ? hai espresso molto serenamente il tuo pensiero, peraltro, condivisibilissimo. Si tratta solo di chiarire un aspetto che sgombri il campo da facili speculazioni. Personalmente, a differenza di quanto può essere stato interpretato nel mio post precedente, non ritengo il patriottismo e il nazionalismo, un bene assoluto, anzi ritengo che in più di qualche caso sia stato causa di chiusura mentale oltrechè territoriale. Ipoteticamente sarei per l'apertura di tutte le frontiere del mondo, ma la realtà purtroppo è ben diversa. Certamente però, il sentirsi legato ad un territorio, nel quale si è nati, si è vissuti e ci si è formati, credo sia un sentimento assolutamente umano. E' chiaro quindi che l'affinità con i propri connazionali, almeno in questo senso, possa determinare anche un maggiore attaccamento dal punto di vista affettivo-sentimentale. Tornando alla questione "dolore" per i morti, vorrei invece precisare che l'ipocrisia alla quale mi riferivo, non è certo quella di persone come Vincenzo, che so bene quanto sia persona sincera ed intellettualmente onesta. Mi riferivo, invece, alle parole di circostanza spesso enunciate attraverso i mass-media, nelle quali a volte si ascoltano frasi e proclami, evidentemente falsi. Insomma, ritengo che il sentimento "dolore" non sia facilmente quantificabile e che quindi la veridicità dello stesso, sia sicuramente di difficile interpretazione. Ad ogni modo, continuo ad ipotizzare che se l'uccisione di un soldato straniero, di qualsiasi nazionalità, può comunque generare sincera tristezza, quella di un soldato italiano, a noi italiani, è sicuramente più sentita. Non credo ci sia nulla di male. Termino con una considerazione un pò provocatoria: Notizia di ieri: "grande soddisfazione per l'uccisione del terrorista al-Zarqawi"..............soddisfazione per aver ucciso ????.........io sono solo contento che è stato reso innocuo, mon che è stato ucciso. Voi ? freddy

renatosd - Fri 09/06/2006 or 09:55
Conscio delle reazioni che derivano dalla mia presenza, anche per la militanza politica denunciata dal nick, ultimamente evito sistematicamente di intervenire su questi temi che pure sono parte preponderante ed il motore del mio impegno. Se avessi fatto io la considerazione di Vincenzo sarei stato aggredito come in passato, ma visto che questa riflessione viene da una parte politica ovviamente a me opposta nella disposizione parlamentare posso quindi con tranquillità, e spero con serenità, sottoscriverla in toto. La considerazione sul valore universale della vita mi porta a mettere sempre in secondo piano l'appartenenza politica, etnica, religiosa e nazionale. Che questo sentimento alto di compenetrazione del dolore, ovunque e comunque si manifestino i tragici eventi, sia condiviso su questo sito mi rallegra e me lo fa sentire più vicino. Le ultime considerazioni di Freddy mi portano ad integrare il mio post con due brevi commenti: superare il "provincialismo" del dolore spero che sia sempre più sentimento condiviso sebbene comprendo che il lutto più è vicino, visto o sentito più colpisce i nostri sentimenti; ho maturato questa riflessione assistendo ad un incidente stradale in cui guardando in faccia la morte mi sono chiesto quanta vita e sentimenti ci fossero in quel corpo inerme che normalmente sarebbero stati per me un singolo trafiletto sul quotidiano locale ... ciò mi ha spinto a sapere molto più di quella persona di quanto sarebbe stato nell'alienante normalità quotidiana. Mi rendo conto che tale approccio se spinto all'eccesso diverrebbe devastante per la coscienza di ognuno di noi ma non ci esime dall'onorare la memoria di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di passeggiare su questa terra. L'altra considerazione riguarda al zarqawi ... si è vero ... non si può aderire a "nessuno tocchi caino" e poi rallegrarsi per una vita che svanisce, probabilmente la sua cattura e il rendere pubblico un percorso riabilitativo e magari una sua eventuale consapevolezza dell'immane orrore provocato, sarebbe stato molto più utile alla nostra ed alla sua stessa vita miserabile. renato malinconico

giucap - Fri 09/06/2006 or 10:20
Renato, leggendo il contesto mi sembra che tu abbia confuso Vincenzo con Salvatore. Freddy, faccio sempre molta fatica a giudicare la buona o la cattiva fede delle dichiarazioni. Tento di non farmi prendere dai pregiudizi (cosa pressocché impossibile) ed attendo in genere la prova del nove (cioè se alle dichiarazioni fanno seguito comportamenti conseguenti o contraddittori). Una riprova del mio tentativo si trova nel forum "ICI": basta evere un po' di pazienza e buona memoria, ed alla fine, invece di giudicare le intenzioni (facendone magari il processo) si mettono in rapporto parole e fatti seguenti. Per scoprire l'acqua calda: spesso sarebbe preferibile un onesto silenzio! Un caro saluto Giulio

renatosd - Fri 09/06/2006 or 10:32
[quote] giucap ha scritto: Renato, leggendo il contesto mi sembra che tu abbia confuso Vincenzo con Salvatore. [/quote] E' vero (lapsus freudiano???) ho corretto ed integrato la mia con due commenti a freddy. Ed aggiungo: che vi piaccia o no i morti SONO tutti uguali sta a noi non renderli di serie A o di serie B, sforzarsi per farlo è difficile ma non è certo "un'ipocrita messinscena" anzi trovo molto più ipocrita questo reiterato cordoglio senza un fermo giudizio sulle cause di un'insulso massacro. Diverso però è il giudizio morale o politico sulle persone vive o morte che siano ... e qui potrei avventurarmi sul giudizio storico di alcuni fatti risalenti a qualche decennio fa ma aprirei un vespaio e allora mi fermo contraddicendomi "è vero i morti NON SONO tutti uguali" tra le vittime e i carnefici una differenza c'è ed è sostanziale, basta che si capisca però chi è l'uno e chi è l'altro. renato

- Fri 09/06/2006 or 12:24
Voglio ricordare in questo forum le parole con le quali ha chiuso l'intervista rilasciata ai media il papà del caporalmaggiore Pibiri, che mi hanno particolarmente colpita perchè hanno espresso sia la grande dignità della persona , sia il doloroso ma composto dissenso per questa "partecipazione" a quella che resta sempre una guerra: "Non piango il figlio donato alla Patria....piango il figlio!"

Freddy - Fri 09/06/2006 or 14:59
Caro Giulio, sto cercando di comprendere il tuo post, ma credimi faccio molta fatica. A cosa ti riferisci ? Chi è che avrebbe scoperto l'acqua calda ? Che c'entra la questione dell'ICI. Chi è in mala fede o in buona fede ? Vorre ricordarti che chi legge questi post, spesso fa fatica a comprenderne il senso, specie se sono ricchi di frasi ambigue. Cerchiamo tutti di essere più diretti e senza sottintesi. Personalmente non vedo della mala fede in nessuna delle persone che hanno scritto in questo forum. Si tratta solamente di avere opinioni in parte diverse. Qualcuno le aggancia a questioni legate alla politica di centro destra e di centro sinistra e qualcun altro ne fa solo un opinione personale, espressa proprio per confrontarsi con altre persone. Io ad esempio, rimango dell'idea che sotto sotto ci sia un'ipocrisia di fondo (ma comunque nell'ambito della buona fede) nel momento i cui si afferma che i morti sono tutti uguali e poi si partecipa ai funerali solo dei propri cari. Non ne faccio una questione di razza o di distanza. Se per qualche motivo dovessi conoscere un abitante del Burundi e con questa persona stabilissi una relazione amichevole e basata sul reciproco rispetto, certamente sarei più dispiaciuto della sua morte piuttosto di quella di un mio connazionale che non conosco. Ma se dovessi fare un funerale per ogni morto ammazzato che ha perso la propria vita per colpa di questa o di quell'altra persona, la mia vita sarebbe un lutto continuo. Inconsapevolmente, quindi, il mio inconscio mi consiglia di filtrare le notizie che provengono da ogni parte del mondo e di interessarmi prioritariamente a quelle che sento più vicine. E' una grave colpa questa ? Oppure è troppo ovvio ciò che ho espresso per meritare uno scambio di opinioni e di vedute ? Perchè dobbiamo sempre cercare la malafede in qualcuno ? Boh ! freddy [quote] giucap ha scritto: Renato, leggendo il contesto mi sembra che tu abbia confuso Vincenzo con Salvatore. Freddy, faccio sempre molta fatica a giudicare la buona o la cattiva fede delle dichiarazioni. Tento di non farmi prendere dai pregiudizi (cosa pressocché impossibile) ed attendo in genere la prova del nove (cioè se alle dichiarazioni fanno seguito comportamenti conseguenti o contraddittori). Una riprova del mio tentativo si trova nel forum "ICI": basta evere un po' di pazienza e buona memoria, ed alla fine, invece di giudicare le intenzioni (facendone magari il processo) si mettono in rapporto parole e fatti seguenti. Per scoprire l'acqua calda: spesso sarebbe preferibile un onesto silenzio! Un caro saluto Giulio[/quote]

Salvatore - Fri 09/06/2006 or 15:17
Vorrei proporvi la risposta (che condivido) di Corrado Augias alla lettera di una lettrice (che non condivido) pubblicata su La Repubblica del 7 giugno scorso (scusate i tagli che però non tolgono nulla al senso dell'originale, o almeno spero!): “Gentile signor Augias, (…) perché scrive patria con la lettera maiuscola? (…) quella maiuscola indica un’ideologia precisa che si chiama patriottismo, forma blanda del nazionalismo, virus letale che tanti danni ha prodotto e che si spera non si affermi mai più. (…) lo sventolio di bandierine e le lacrime al suono dell’inno di Mameli , lo riconosco, non ha un aspetto così pericoloso, è più che altro una moda come farsi le lampade (…). Però sono sentimenti da non incoraggiare, specialmente nelle giovani generazioni (…) Firmato: Marinella Lazzaroni, Lucca” “Confesso che quando ascolto l’inno nazionale (…) spesso mi commuovo. Debolezza senile? Credo invece pensieri, ricordi. Goffredo Mameli, per esempio. L’eroico giovane accorso a difendere la Repubblica romana (1849) con altri patrioti venuti da tutta Italia, venne colpito alla Villa il Vascello, sopraggiunse la cancrena, nemmeno l’amputazione alla gamba riuscì a salvargli la vita. Quando i suoi compagni s’incolonnarono per lasciare Roma, passando sotto l’ospedale dove il poeta era in agonia, intonarono a mezza voce l’inno da lui composto (…): “Fratelli d’Italia…” (…) Che vuol dire Patria? Per me la Patria è la lingua nella quale penso, il 25 aprile 1945 a Milano, la Costituzione del 1948 e i suoi articoli d’apertura, quanto di meglio sia mai stato garantito in questa penisola, gli operai in lotta per i loro contratti, i giovani che sfilano con la bandiera della pace e quelli che sfilano in armi a difesa delle istituzioni conquistate col sangue, i professori che insegnano queste cose ai loro alunni e gli alunni che le imparano nelle scuole della Repubblica, a Torino e in Sicilia (e anche a Napoli, aggiungo io, per la gioia di Davide!). Non dovremmo incoraggiarli? Al contrario, dobbiamo molto incoraggiarli. Firmato: Corrado Augias” Se rinunciamo all’amore per la nostra Patria, se abbiamo paura di sventolare la nostra Bandiera, che popolo siamo? Allora meritiamo il declino inesorabile, non meritiamo il rispetto degli altri, perché per primi non abbiamo rispetto di noi stessi. Se non siamo disposti a difendere la libertà e i valori che i nostri padri hanno conquistato per noi, chi altri potrà farlo? Forse il signor al-Zarqawi di turno? Definire il patriottismo “un sentimento da non incoraggiare” a me sembra delirante! Vogliamo crescere finalmente? Dopo 60 anni, vogliamo emanciparci dalla nostra triste storia o essa dovrà pesare in eterno come un macigno sulle nostre coscienze, tanto da vergognarci quando proviamo un moto di fierezza vedendo un tricolore al vento e ascoltando l’Inno di Mameli? Senza patriottismo un popolo è destinato al regresso, all’oblio e all’estinzione. Salvatore

Baol - Fri 09/06/2006 or 19:23
I morti sono tutti uguali, il dolore è dolore in ogni parte del mondo e, se pure parlano lingue diverse, gli uomini piangono tutti alla stessa maniera. Ma resta un fatto, secondo me, che la morte non è la stessa morte. Sebbene i morti siano tutti uguali la morte invece è differente; ci sono le vittime e ci sono i carnefici, perché ci sono morti violente, e ci sono le morti violente causate dalla natura (vedi terremoto in Indonesia) ma anche le morti causate dalla violenza dell’uomo sull’uomo. Ora, se pure restiamo ogni volta davanti alla morte sgomenti e sopraffatti dal dolore, nel caso di una morte causata dall’uomo non possiamo però non interrogarci sulla possibilità che ciò potesse essere evitato, sulle nostre responsabilità e sull’impegno umano necessario a che ciò non si ripeta. Forse è per questo che si spende qualche parola di più (o almeno me lo auguro). Poi in quanto italiani forse dobbiamo chiederci fino a che punto sia stato giusto inviare i nostri soldati, gli inglesi si chiederanno altrettanto per i loro, e così gli americani… mi auguro che poi ciascuno rivolga anche il pensiero agli iracheni, che forse finiscono per essere i morti di nessuno, e questo francamente mi fa orrore, pensando che si tratta troppo spesso di bambini e civili innocenti. Volenti o nolenti dobbiamo tutti convivere con la morte, dal momento in cui ne diventiamo consapevoli, per tutto l’arco della nostra esistenza, volenti o nolenti dobbiamo accettarla quale evento naturale, ma è inconcepibile accettarla nelle altre sue accezioni, là dove si vuole ad esempio giustificare una guerra aggiungendovi attributi quali: santa, umanitaria, preventiva, e via discorrendo. Ciò che fa orrore, oltre alla violenza di per se, è la necessità di legittimazione della violenza stessa… Sull’amor patrio, considero il sentimento nella sua accezione positiva, così come lo considera Corrado Augias, uomo che stimo e che seguo con grande interesse. Anche io non posso che nutrire amore per il mio Paese, per la lingua italiana, per la nostra cultura, per la Costituzione, per tutto ciò di cui parla Augias e anche altro; in fondo un popolo si riconosce tale attraverso un’ identità culturale e non soltanto un’ identità territoriale, che da sola non rappresenterebbe un gran che. Si parla quindi di un amore inteso nella sua accezione positiva; l’amore in questione non conduce all’affermazione della superiorità della mia cultura sulle altre culture, con tutto ciò che ne conseguirebbe; tutto ciò, per come la vedo io, è lungi dallo sfociare nel fanatismo; ma forse la signora che scrive ad Augias, e così coloro che negano questi valori, lo fanno semplicemente pensando ad una loro possibile accezione negativa, nel timore che vi sia la possibilità di sfociare per esempio nel fanatismo, nell’esaltazione, o nella strumentalizzazione, cosa che non sarebbe del tutto nuova; in nome di certi valori si possono sopraffare gli altri, dichiarando una supposta superiorità culturale, o magari una superiorità di razza, di civiltà ecc. ecc. Chiedendo una lealtà, una fedeltà totale e un’obbedienza totale, in nome di una fede cieca, si possono commettere dei crimini. Niente di meglio che utilizzare dei valori manipolandoli per alterare le coscienze e diffondere un’ idea che vada a legittimare delle azioni riprovevoli; possiamo in tutta coscienza dire che ciò non sia mai accaduto? Ma possiamo in tutta coscienza affermare che, poiché alcuni valori possono essere manipolati alterati distorti sfruttati, allora è meglio negare i medesimi valori, cancellarli? Credo che al contrario ci si debba impegnare per incoraggiarli, per insegnarli in maniera tale che nessuno possa più permettersi di distorcerli a proprio vantaggio, snaturandoli e corrompendoli. Niente di male ad amare il proprio Paese, niente di male a nutrire un profondo rispetto per la propria identità culturale, per la propria lingua, per la propria Costituzione, certi sentimenti vanno incoraggiati, insieme al senso della legalità, al rispetto degli altri, che hanno diverse tradizioni e diverse culture; le cose devono procedere di pari passo. Un caro saluto Francesca

Kla - Sat 10/06/2006 or 15:36
Fino a che ci saranno persone che pensano che per avere la pace occorre occupare i territori con atti di guerra, la pace continuerà a costare vite umane nel mondo intero. Chi non vuole la pace sono i proprietari di petrolio e di tutte le risorse presenti in ogni territorio.

giucap - Sat 10/06/2006 or 15:44
Freddy, stavolta il sorry non è un intercalare. Se non sono riuscito a farmi capire ovviamente me ne assumo la responsabilità. Purtroppo, nella mia abissale ignoranza, non ho ancora imparato ad usare la funzione "citazione", pertanto non si capisce bene le mie frasi a quale parte del messaggio si riferiscano. Provo a chiarirmi (sperando di non fare ulteriore confusione). La tua frase che volevo commentare è "Tornando alla questione "dolore" per i morti, vorrei invece precisare che l'ipocrisia alla quale mi riferivo, non è certo quella di persone come Vincenzo, che so bene quanto sia persona sincera ed intellettualmente onesta. Mi riferivo, invece, alle parole di circostanza spesso enunciate attraverso i mass-media, nelle quali a volte si ascoltano frasi e proclami, evidentemente falsi." Quindi la buona e cattiva fede è riferita al giudizio circa le frasi di circostanza: chi decide se sono sincere o di circostanza? Da qui sono partito con un ragionamento per me collegato (senza rendere esplicito il collegamento) è cioè: per giudicare senza pregiudizio sarebbe meglio aspettare la riprova, ovvero se alle dichiarazioni seguono comportamenti coerenti. Poi sono passato ad un esempio, citandomi nell'intervento sull'ICI, nel tentativo di dimostrare che si possono individuare incoerenze tra dichiarazioni e fatti (appunto quanto accaduto a Latina sull'ICI) concludendo che in tutti questi casi sarebbe preferibile un onesto silenzio a dichiarazioni non sincere o strumentali. Tutto ciò nella mia mente era abbastanza chiaro, riportato in sintesi in un messaggio scritto di fretta mi rendo conto possa contenere ambiguità e me ne scuso. Comunque il mio messaggio non conteneva alcun riferimento ad utenti del sito, tranne a te in quanto la mia riflessione partiva da una tua affermazione. Prometto che starò più attento in futuro. Un caro saluto Giulio

Freddy - Sat 10/06/2006 or 22:23
Ok Giulio, ora è tutto chiaro Francamente in precedenza mi ero un pò preoccupato ! Vorrei profittare per aggiungere una sola ultima riflessione sull'argomento in risposta al lucidissimo (come sempre) post di Baol. Credo siamo tutti d'accordo; i morti sono tutti uguali !(e qui faccio un "mea culpa" per non aver chiarito bene cosa intendessi dire nel post precedente). Siamo d'accordo anche sul fatto che il dolore è lo stesso se ognuno lo riferisce ai propri cari. Siamo altresì d'accordo che la morte provocata dall'uomo è quella che fa più male di tutte. Rimane però un aspetto fondamentale che io e Salvatore, mi sembra, ci stiamo sforzando di far passare, ma non riusciamo a trovare ancora piena condivisione. Il dolore (come la felicità nel caso contrario di un evento favorevole) aumenta nei confronti delle persone, in maniera direttamente proporzionale con la maggiore vicinanza, in termini di parentela, amicizia, conoscenza, cittadinanza, nazionalità e via discorrendo. Questo è il banalissimo motivo (e qui la politica non c'entra nulla) per il quale tra due persone che non conosco direttamente, sento sinceramente più vicina la morte di un mio connazionale. Questo ovviamente, non significa che per l'altro sia contento, anzi. Dovremmo, a mio parere tutti, cercare di non essere sempre legati ad una linea di correttezza quasi forzata, che a volte ci mette nella condizione di non riuscire nemmeno ad accettare i nostri istinti primordiali. Insomma, nell'ordine, io mi sento più legato: alla mia famiglia (con la quale condivido tutto) ai miei amici (con i quai condivido moltissime cose) ai miei conoscenti (con i quali condivido tante cose) ai miei vicini di quartieri (e anche per questo motivo ho voluto questo sito)(con i quali condivido diverse cose) ai miei concittadini (con i quali di tanto in tanto condivido delle cose) agli Italiani (con i quali condivido una storia) etc. etc. etc. Non credo ci sia nulla di male in questo. Non occorrono grandi discorsi filosofici, culturali o psicosociali. Fa parte della natura umana, e dal punto di vista biologico, tutto questo ha anche una giustificazione razionale: serve per garantire la prosecuzione della specie ! Vogliamo andare contro natura ? freddy

Vincenzo - Sun 11/06/2006 or 10:50
Freddy, il tuo discorso non fa una piega. Volevo solo aggiungere che noi Paesi civili e sviluppati abbiamo il dovere (oserei dire l'obbligo) di aiutare i paesi poveri. Come diceva Giulio ?? il terremoto che ha colpito l'Indonesia è stato un'evento catastrofico, ma se lo stesso fosse avvenuto in Giappone (come avviene di frequente) molto probabilmente si ssarebbe risolto con qualche calcinaccio e al massimo qualche ferito. Questo per dire che la sfortuna di nascere in un certo territorio anzichè in un'altro è detrminante per la vita. Certo, noi abbiamo la nostra bella casa, sfruttiamo il territorio e le relative risorse ma questo "status" di privilegio DEVE farci rendere conto che abbiamo degli obblighi nei confronti di chi non ha nulla. Si è vero che non conosciamo nessuno dei 5.000 morti dell'ultimo terremoto in Indonesia ma è anche vero che quel territorio è frequentatissino da noi Italiani (occidentali in genere) e nonostante che siano Paesi lontani sono molto vicini a noi. Per quanto mi riguarda sono disponibile in qualsiasi momento ad aiutare chi soffre in qualunque parte del pianeta si trovi indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dalla razza ecc. ecc. Saluti Vincenzo

Freddy - Sun 11/06/2006 or 12:21
Si, ma questa è un altra storia. Su questo credo siamo tutti assolutamente d'accordo (almeno spero). Freddy [quote] Vincenzo ha scritto: Freddy, il tuo discorso non fa una piega. Volevo solo aggiungere che noi Paesi civili e sviluppati abbiamo il dovere (oserei dire l'obbligo) di aiutare i paesi poveri. Come diceva Giulio ?? il terremoto che ha colpito l'Indonesia è stato un'evento catastrofico, ma se lo stesso fosse avvenuto in Giappone (come avviene di frequente) molto probabilmente si ssarebbe risolto con qualche calcinaccio e al massimo qualche ferito. Questo per dire che la sfortuna di nascere in un certo territorio anzichè in un'altro è detrminante per la vita. Certo, noi abbiamo la nostra bella casa, sfruttiamo il territorio e le relative risorse ma questo "status" di privilegio DEVE farci rendere conto che abbiamo degli obblighi nei confronti di chi non ha nulla. Si è vero che non conosciamo nessuno dei 5.000 morti dell'ultimo terremoto in Indonesia ma è anche vero che quel territorio è frequentatissino da noi Italiani (occidentali in genere) e nonostante che siano Paesi lontani sono molto vicini a noi. Per quanto mi riguarda sono disponibile in qualsiasi momento ad aiutare chi soffre in qualunque parte del pianeta si trovi indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dalla razza ecc. ecc. Saluti Vincenzo [/quote]

Baol - Sun 11/06/2006 or 18:09
Sono d'accordo con Freddy, anche la sua è una analisi lucida, un ragionamento logico; e poi è chiarissimo il concetto espresso da Vincenzo, lo condivido pienamente. Piuttosto, temo, la possibilità che possa insorgere nelle persone una sorta di indifferenza, dettata magari dall'assuefazione a certe immagini che irrompono dagli schermi televisivi, ed anche dall'eccessivo indulgere nei particolari della violenza, come fosse indispensabile per rendere la notizia più interessante, per catturare l'attenzione... non so quanto tutto ciò sia producente, in termini di partecipazione al dolore di altri esseri umani, o piuttosto non rischi di sembrarci una finzione, simile a tanti films che vanno per la maggiore. Vi lascio con questa riflessione, buona serata a tutti Francesca

Kla - Sun 11/06/2006 or 18:31
Certo che incorniciare la foto di un morto e poi mostrarlo come un trofeo non è un gesto molto civile e moderno. Ciò è accaduto in tutti i migliori telegiornali del mondo e a qualsiasi ora. Tutto ciò ricorda alcune vecchie immagini di indigeni che portano in trionfo nelle loro lance la testa del nemico. Come se l'occidende regredisse con sete di vendetta a mostrare le testa di chi ha mozzato le teste. ODIO CHIAMA ODIO e l'umanità fa passi indietro.

Freddy - Sun 11/06/2006 or 18:44
Sono assolutamente d'accordo con Kla. Freddy

Salvatore - Sun 11/06/2006 or 19:41
Kla, non c'è bisogno di scomodare i selvaggi indigeni e le loro lance! Anche la Buonanima e Claretta furono esposti, appesi a testa in giù, a Piazzale Loreto. E questo nell'Italia di appena sessant'anni fa. Salavtore

Kla - Sun 11/06/2006 or 22:21
Mi riferivo agli indigeni proprio per sottolineare il grado a cui l'umanità puo regredire con l'ODIO che alimenta il rancore e la vendetta. Ma attenzione che anche la nostalgia di certi poteri forti è germe di odio. Dobbiamo abituarci a vivere il presente vigili e non cadere negli stessi errori. Le dittature di qualsiasi colore sono la negazione della libertà e i popoli oppressi prima o poi si ribellano. Questa è la storia che non dobbiamo mai dimenticare. Non facciamoci abindolare dai politici, specialmente da quelli che vogliono ripristinare poteri forti e mettere in minoranza i poveri e i deboli per i loro sporchi interessi che sono la conquista delle risorse nei territori. Personaggi che tendono a confondere le persone con tutti i mezzi di cui dispongono cercano di dividere i popoli e convincerci che esiste la guerra per la pace (assurda falsità). Per tornare al tema del forum cito : LA GUERRA E' UNA PAGINA DI STORIA CHE I POPOLI NON RICORDANO MAI ABBASTANZA.

giucap - Mon 12/06/2006 or 08:01
Concordo con quanto ottimamente espresso da Baol, come pure nella sostanza delle affermazioni di Kla. Concordo anche con la risposta di Augias, adeguata alla lettera ricevuta. Però la chiosa del relativo messaggio di Salvatore mi ha lasciato perplesso ("Senza patriottismo un popolo è destinato al regresso, all’oblio e all’estinzione."), ci sono cose che forse non capisco. Ci ho pensato durante il fine settimana, e mi permetto di chiedere chiarimenti. Cosa intendiamo per patriottismo? Come ci si aspetta si manifesti? Dato che la mancanza di patriottismo ha conseguenze tanto nefaste, mi sembrano domande legittime. Aggiungo qualche considerazione e dubbio per evitare magari di dover chiedere nuovamente dopo. Il termine patriottismo è stato associato a popolo, quindi immagino non coincida con nazionalismo. Ad esempio, gli altoatesini o sudtirolesi sono certamente italiani (in senso di nazionalità) ma almeno la componente "tedescofona" (si dice così??) come popolo trova corrispondenze in Austria più che in Italia. L'annessione di quei territori è avvenuta di recente (in termini storici): possiamo parlare anche di annessione di popolo? I Sardi sono certamente italiani, ma hanno maggiori affinità di popolo (lingua e cultura) con i Corsi piuttosto che con i Friulani (per esempio). Abbiamo visto che i confini delle nazioni variano nel tempo: oggi un abitante di Podgorica non proverà più gli stessi sentimenti per uno di Belgrado semplicemente perché il 55% dei montenegrini si è espresso a favore della "secessione"? E cosa accadrebbe se un domani avessero successo le posizioni di alcuni amici Padani? Come mi pongo con gli abitanti di San Marino? Forse razionalizzo troppo, ma l'idea che il mio essere o non essere patriottico possa comportare l'estinzione di un popolo mi ha mandato in confusione: non lo sopporterei neanche se, invece di un popolo (il MIO), si trattasse di una particolare specie di formiche! Con il che non voglio dire che non capisco gli argomenti e la graduatoria di Freddy, e sentimentalmente li sento vicini. Stasera mi guarderò la partita e tiferò Italia come sempre, nonostante i "furbetti del palloncino"; sono stato dispiaciuto per la retrocessione del Latina (anche se l'ultima volta che sono andato allo stadio avevo 12 anni e sono entrato saltando il muro!) e sono felice quando gli italiani si mettono in evidenza (vincendo manifestazioni sportive, un Oscar, il Nobel o semplicemente compiendo azioni degne di merito). Basta questo come prova di patriottismo? Speriamo di sì, perché di estinzioni non vorrei sentir parlare. Un caro saluto Giulio

Vincenzo - Mon 12/06/2006 or 09:08
Per quanto mi riguarda il significato di "Patriottismo" è il seguente: Appartenenza ad una qualche comunità sociale quale famiglia, tribù, nazione, stato, religione o altro. Vincenzo

- Mon 12/06/2006 or 09:16
Leggendo gli interventi di questo forum mi è venuta in mente una piccola cosa sul significato di patriottismo e sulla necessità di salvaguardare l'identità nel timore che vada perduta, intrecciando il ragionamento con altre discussioni sul portale (la nostra storia, il civismo etc.). Se ci pensate Latina potrebbe rappresentare una teorica "fotoriduzione" del mondo: è una città costituita da "etnie" diverse, e che continua ad accogliere persone tanto diverse fra loro, che ancora non riescono ad amalgamarsi ed a condividere una storia, che non sia quella iconografica. Ed è una sorta di "patriottismo" quello per cui l'idea delle origini di ciascuno, è prevalente rispetto all'idea di "osmosi" (nel senso di scambio alla pari delle caratteristiche, positive, di ciascuno) necessaria per arrivare a quella "sintesi" che ci farebbe diventare finalmente città "sociologica". Certo per arrivare a questo sarebbe necessario che ciscuno di noi rinunciasse ad una parte della sua identità (magari a quella non proprio positiva!), ma non staremmo tutti meglio?...Con piccoli passi si può raggiungere la mèta....e questo vale anche per il mondo!

giucap - Mon 12/06/2006 or 10:08
Vincenzo, so che rischio il vaffa ma non sono certo di aver capito: proponi una tesi multi-patriottica (per cui ciascuno appartiene a più patrie) oppure gli elementi che hai indicato sono, cumulativamente, necessari ad individuare la patria di ciascuno? La prima tesi mi sembra più affascinante, anche se non so dove ci porterebbe. Grazie (a tutti) per la pazienza :-) Giulio

Vincenzo - Mon 12/06/2006 or 13:03
Tranquillo Giulio non rischi niente. Non propongo un bel nulla. Questa è la MIA (ripeto MIA) versione di patriottismo. Ovvero patriottismo = appartenenza. Vincenzo

giucap - Mon 12/06/2006 or 13:15
Vincenzo, grazie della risposta. Capisco pertanto che possano esserci diversi patriottismi, o quanto meno diversi livelli dello stesso. Dato che in via generalissima mi sento in primis appartenente al genere umano, sono comunque patriottico nella tua accezione? Mi piacerebbe anche conoscere il parere di Salvatore, che trovo sempre molto interessante. Un caro saluto Giulio

Salvatore - Mon 12/06/2006 or 19:13
Caro Giulio, evidentemente la parola patriottismo provoca in noi reazioni diverse: io vedo il lato positivo del termine, l’amore per la nostra terra, per la nostra gente, la coesione sociale che esso rappresenta, le fondamenta stessa della civiltà, il lavorare insieme per crescere e migliorare, la solidarietà, il sentirsi accomunati da qualcosa. Tu ci intravedi, forse, i pericoli delle deviazioni nazionalistiche e delle nefandezze che sono state compiute in nome di un malinteso patriottismo degenerato nei vari fascismi, nazismi e comunismi (anche se il comunismo anelava all’internazionalismo… ma era un internazionalismo soffocante, oppressivo e distruttivo). Oggi sono a Parigi, quindi mi pare appropriato citare (a memoria) Charles de Gaulle: “Il Patriottismo è mettere al primo posto l’amore per la tua gente, il nazionalismo è mettere al primo posto l’odio per gli altri.” Questo a mio parere è la linea di demarcazione tra il sentimento positivo e il sentimento degenerato: il patriottismo non deve essere inteso CONTRO qualcuno, ma a FAVORE di qualcuno. Io non vedo il patriottismo come un limite all’internazionalismo, ma come un passaggio necessario per giungere, forse… un giorno, all’utopica fratellanza universale. Come possiamo amare il mondo intero se non riusciamo ad amare la nostra famiglia, i nostri vicini, la nostra città e la nostra terra? come possiamo saltare dall’io… all’universo, scavalcando tutto quello che c’è in mezzo!? Chi non mi conosce personalmente potrebbe scambiarmi per uno xenofobo nazionalista e intollerante… ma non è così! Come ben sa invece chi mi conosce, io ho due cittadinanze, e a casa mia convivono tre etnie. E proprio per questo che i sentimenti di appartenenza, che possono sembrare insignificanti a chi non si è mai mosso dalla sua città, assumono per me un profondo significato. Invece della generica “fratellanza universale” o “omogeneizzazione globale”, io credo nella diversità, che reputo preziosa, e nel rispetto, che però deve essere reciproco. Non sono disposto a lasciarmi annichilire da altre culture aggressive e pervasive. Non voglio stare alla finestra mentre qualcun altro cerca di vietarmi di mettere le decorazioni natalizie a casa mia, o di andare (s)vestito secondo i miei costumi, o di esporre i simboli della mia religione. Noi, in nome di un malinteso senso dell’accoglienza, ci stiamo candidando all’estinzione. Lo so che estinzione è una parola forte! L’estinzione non è solo quella fisica, l’estinzione è quella culturale, quella di un popolo che non si riconosce più, che non si vuole bene, che non ha entusiasmo, voglia di fare, voglia di primeggiare, voglia di esistere. Venti anni fa la Spagna era terzo mondo, se paragonata all’Italia; oggi le cose stanno esattamente all’opposto. Gli spagnoli spinti da un ritrovato orgoglio patrio si sono riscattati, col loro entusiasmo con la loro laboriosità, con la loro carica di energia, dalla lunga dittatura franchista. Invece di perder tempo in sterili polemiche tra ex franchisti ed ex repubblicani (e potremmo mettere nel calderone pure gli ex e i neo monarchici), si sono rimboccati le maniche, si sono stretti intorno alle nuove istituzioni monarchiche-democratiche, intorno alla loro bandiera, e hanno fatto della Spagna una Patria solida, prospera, sicura e prestigiosa. …nel fare ciò non hanno mica rotto le scatole a nessuno! Non hanno mica aggredito nessuno! Noi italiani (il cui patriottismo è, a mio parere, tristemente atrofizzato) intanto continuiamo a litigare sul 25 aprile e a dare del fascista a chi espone il tricolore… mentre il nostro Paese sta rotolando inesorabilmente giù dalla china del primo mondo… verso il terzo mondo. (Capisco che a qualche internazionalista convinto questo potrebbe pure fargli piacere! Potrebbe apparirgli come un modo per espiare le nostre colpe ataviche!). A proposito di patriottismo: qualcuno potrebbe spiegarmi questo strano fenomeno tutto italiano? 25 aprile, 2 giugno, 4 novembre… circa 3 bandiere esposte alle finestre degli italiani, di cui una è la mia. Mondiali di calcio… 30.000.000 di bandiere. Qualcuno vuole azzardare qualche spiegazione? Immagino non adesso che sta per iniziare Italia-Ghana. Forza Italia! (anche se non sono tifoso!) Salvatore

giucap - Tue 13/06/2006 or 07:52
Caro Salvatore, grazie per la risposta, molto interessante (come sempre). Mi ero permesso di porre domande specifiche non per provocare, ma proprio per capire. Purtroppo faccio un mestiere che qualcuno ha definito "raddrizzavirgole", per cui so che i problemi vengono fuori quando dalla dichiarazione generale si passa ai casi reali, particolari. Per questo trovo più facile, almeno per me, aderire ad un principio generale che non presta il fianco a critiche, per poi calarlo nella realtà. Tu dici che se non si sente forte il legame con la propria comunità, difficle che si provi lo stesso sentimento per chi di quella comunità non fa parte. Mi sembra condivisibile, salvo i problemi di definizione della MIA comunità. Come avrai visto, ho messo in fila un po' di eccezioni che, almeno a me, rendono difficile la demarcazione. Allora, visto che preferisco includere invece che escludere, salto all'insieme immediatamente superiore (l'Europa, in termini geografici), ma anche qui mi rendo conto che si presentano numerose eccezioni, e allora non mi resta che il genere umano. Hai scritto "E proprio per questo che i sentimenti di appartenenza, che possono sembrare insignificanti a chi non si è mai mosso dalla sua città, assumono per me un profondo significato": negli ultimi 20 anni ho girato il mondo per lavoro e per diletto, ed ho sempre trovato con gli altri più elementi di comunanza che elementi di differenza (almeno negli aspetti che reputo essenziali): ho visto ridere alla stessa barzelletta cinesi, sauditi, irakeni, francesi, iraniani, inglesi, messicani, ungheresi, argentini, libici ... (l'elenco si fa lungo). Certo poi prevale il sentimento di "casa dolce casa", la nostalgia, gli affetti, gli usi e costumi che ci sembrano comunque "migliori" degli altri (ci siamo abituati ed in me c'è anche una bella componente di pigrizia). C'è insomma questa "appartenenza", ma io non la farei coincidere con alcun confine geografico: per me casa è sicuramente Latina (tutta, sono cresciuto vicino all'ospedale, ho lasciato la casa dei genitori per andare dietro al Tribunale e poi infine trovare quello che cercavo in Q4) ma anche San Donato Milanese, dove vivo ora ed ho molti amici, ma anche Parigi e Londra, dove ho conusciuto bellissime persone, ed addirittura Bagdad, dove ho avuto la fortuna di incontrare gente eccezionale (prova a pensare la pena che provo ora, non so neanche che fine abbiano fatto). Quanto alla reciprocità, in principio concordo, ma nei rapporti fra Stati (istituzioni), non fra la gente. Lì dovrebbe prevalere il principio di buona fede personale, e non la generalizzazione di comportamenti stereotipi. L'approfondimento di questo argomento richiederebbe molto spazio. Penso che chiunque ne avrebbe abbastanza e quindi faccio la grazia di smetterla qui. Un caro saluto Giulio

Vincenzo - Thu 15/06/2006 or 07:59
Apprendo con stupore la presente notizia che riporto: ....... La presenza militare in Afghanistan non è in discussione ed è considerata tuttora indispensabile dalla comunità internazionale e anche da noi", dichiara il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ....... Ma il nuovo Governo non doveva ridurre la presenza militare all'estero? A quanto pare sembrerebbe che sia in programma anche un aumento del contingente italiano in Afganistan. Vincenzo

Salvatore - Fri 16/06/2006 or 09:24
A proposito del patriottismo di cui si parlava qualche giorno fa, riporto una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 16 giugno scorso, perché leggendola ho pensato che avrei potuto scriverla io… pensando al mio periodo di residenza negli Stati Uniti. “Vivere in Australia, Sentirsi una comunità. Vivo in Australia e mi trovo a fare i confronti con l’Italia. Più di tutto mi colpisce l’insensato spreco di risorse economiche ed umane perpetrato da anni a danno della comunità mentre qui in Australia tutto e tutti agiscono nell’interesse sia proprio sia della comunità. E poiché qui ogni occasione mi ricorda di «essere nella comunità», mi tornano regolarmente alla mente tanti penosi ricordi italiani. Forse il problema è tutto qui: il nostro Paese non è una comunità. Marco Batacchi” Ecco un’idea semplice, universalmente accettata nel mondo anglosassone: il bene pubblico coincide e si ottiene ricercando il bene individuale. Non sono concetti antitetici, anzi… Patriottismo è anche saper valorizzare le proprie risorse (umane, naturali, artistiche, paesaggistiche eccetera) A scanso d’equivoci, per valorizzare non intendo solo l’aspetto economico. Patriottismo è anche saper dare a ciascuno quello che si merita, saper tenere in Patria il ricercatore geniale e non costringerlo ad andare all’estero. Saper introdurre (finalmente) la meritocrazia… Salvatore

giucap - Fri 16/06/2006 or 10:53
Salvatore, a me la bella lettera stimola riflessioni leggermente diverse. Il nostro amico "emigrato" parla di comunità, non di patria. Mi sembra di capire che apprezzi maggiormente la sua nuova comunità, rispetto a quella che ha lasciato. Potrebbe anche sentire ancora l'Italia come Patria, ma ciò non toglie che la sua comunità, oggi, è in Australia. Pertanto oggi le sue azioni sono volte a migliorare la sua vita e quindi la sua nuova comunità. E' un patriota? Seconda l'accezione di Vincenzo (appartenenza) direi di sì, ma per qualche "italico puro", e magari pure per lo stesso Marco (l'australiano), potrebbe essere di no Concordo sul fatto che il bene pubblico vada perseguito ricercando quello individuale. In un post di qualche tempo fa avevo segnalato molto sinteticamente la differenza che a mio avviso corre tra egoismo miope (di breve periodo e negativo) ed egoismo lungimirante (l'opposto). Circa il dare a ciascuno ciò che merita, reiterato da te nel richiamo alla meritocrazia, se il principio sembra non fare una piega io vorrei evidenziare un problema ed un'aggiunta per me forse più importante: Problema: chi decide del merito? C'è forse un sistema oggettivo o magari invece, giocoforza, si entra in ambiti soggettivi? Esiste un merito assoluto o tanti meriti relativi (alle circostanze, ambienti, condizioni di partenza, o altro)? Chi sceglie coloro che devono certificare il merito e come? Da persona che conosce il mondo credo tu abbia molteplici esperienze di sistemi meritocratici che spesso prendono cantonate, premiando chi appare invece di chi vale (per citare una vecchia canzone). Concludo con l'aggiunta: va bene il merito, con tutte le accortezze ed i necessari approfondimenti di ciascun caso, ma ci sono diritti inalienabili che prescindono dal merito stesso: alla salute, alla dignità, alla scuola, alla giustizia, alla libertà, all'uguaglianza (ovvero alla non discriminazione); una comunità, per essere tale e quindi progredire, a mio avviso deve essere in grado di garantire tali diritti, unendo meritocrazia e solidarietà, altrimenti non sarà mai comunità ma somma di individui, senza che ciò implichi la rinuncia alle individualità ed alle risultanti differenze, che sono poi la ricchezza stessa della comunità. Un caro saluto Giulio

Baol - Fri 16/06/2006 or 11:00
"Il bene pubblico coincide e si ottiene ricercando il bene individuale" non sono concetti antitetici, o almeno non possono esserlo nella frase così formulata, perché la coincidenza posta come premessa, è elemento primario, necessario, che rende impossibile l'antitesi. Altro è dire invece, come mi è purtroppo capitato di sentire, che il bene pubblico si ottiene ricercando il bene individuale; la frase risulta dubbia, o quanto meno discutibile, là dove la coincidenza tra i due beni non solo non esiste, ma non è ancora parte della cultura, di un comune sentire. Ora bisogna chiedersi in che maniera ci si possa adoperare per raggiungere questa coincidenza, quale premessa indispensabile al raggiungimento del bene comune, quindi anche individuale. Paradossalmente: non è certo perseguendo innanzi tutto il bene individuale che si può raggiungere questo obiettivo. Un caro saluto Francesca

Salvatore - Fri 16/06/2006 or 11:50
Daccordissimo! La meritocrazia non deve "abbandonare" i deboli, i malati i disgraziati (nel senso di colpiti da disgrazia). Deve invece abbandonare i fannulloni, gli scansafatiche i parassiti di professione… i “detentori di posto sicuro che hanno solo diritti e niente doveri” eccetera. Per quanto riguarda il metro o il metodo per stabilire il merito… se aspettiamo che qualcuno inventi il perfetto “misuratore scientifico del merito” non ne veniamo fuori. La perfezione non è di questo mondo... L’argomento è vastissimo e stimolante; ci sarebbe pure da parlare delle raccomandazioni (già in passato avevo promesso di parlarne) ma il tempo è tiranno e devo scappare (e poi stiamo, ancora una volta, andando fuori tema). Saluti Salvatore

renatosd - Fri 16/06/2006 or 12:28
Ecco ... raccomandazioni e spartizioni ... il nodo è questo. Purtroppo in realtà sempre, e dico sempre, l'applicazione della meritocrazia, che concettualmente credo sia universalmente condivisa, ha trovato terreno fertile per dar modo a qualcuno con i santi in paradiso per occupare posti a scapito di altri che, oltre alla vessazione di perdere il posto o l'incarico o anche la semplice mansione, sono stati macchiati dell'onta di essere nel migliore dei casi inadeguati. Il tema è complesso e non siamo ancora una nazione matura per questo, le banalizzazioni sul tema come sempre servono solo ai soliti noti. Nel frattempo credo ancora che si possa trovare più professionalità nella certezza dell'avanzamento di carriera graduale piuttosto che nella generalizzata occupazione dei posti di squallidi arrivisti incompetenti senza scrupoli. "chi decide sul merito" chiede Giulio ... questo non è semplicemente uno dei problemi .. questo è il problema!!! se non c'è soluzione la teoria moralmente accettabile è inapplicabile. renato malinconico

giucap - Fri 16/06/2006 or 12:52
Francesca, per la prima volta penso di non aver ben capito un tuo messaggio (e me ne assumo la totale responsabilità). :-) Provo allora ad elaborare il mio pensiero sull'argomento per chiederti poi come la vedi (se ne hai voglia, naturalmente). Il ragionamento forse è un po' complicato, spero di non incappare in banalizzazioni per restare sintetico. Innanzitutto per me si tratta di un aspetto etico, quindi privato-individuale, e non morale ovvero pubblico-collettivo. Personalmente preferisco vivere in una comunità coesa, per quanto possibile armonica, con forti legami di solidarietà, orgogliosa e non timorosa delle sue differenze, dove vige il principio dell'accoglienza (inclusione) e del mutuo soccorso. Si potrebbero aggiungere altre preferenze dello stesso tenore. Proprio perché questa è la mia preferenza, dovrei tentare (il condizionale è d'obbligo, in quanto tra il dire e i fare ...) di agire di conseguenza. Queste azioni, viste da fuori, ad alcuni potrebbero sembrare "altruistiche", ma in realtà io sto agendo nel mio stesso interesse. Non credo ci sia niente di male, anzi ... L'unica è raggiungere una consapevolezza "etica" che questo è ciò che mi conviene. Ogni volta che siamo di fronte ad una scelta, ad un comportamento, abbiamo la libertà (salvo casi eccezionali e spesso traumatici) di scegliere cosa fare: c'è chi agisce tenendo in principale considerazione le conseguenze "legali" (multa, sanzione), chi un premio o un castigo in una vita futura e chi guardando al proprio interesse(miope o lungimirante) qui ed ora. Per la comunità qualunque base va bene, purché si agisca correttamente. Ciascuno sceglierà la sua, a volte più di un approccio caso per caso, consciamente o inconsciamente. In genere l'errore viene fuori quando si agisce secondo quello che appare il proprio interesse (miope), ma che alla lunga ci si ritorce contro. Una trattazione piuttosto esauriente di un punto di vista molto simile la si può trovare nel libro di Fernando Savater "Etica come amor proprio" (Laterza), un vero trattato di filosofia purtroppo piuttosto ostico nel linguaggio (al contrario degli altri libri divulgativi del filosofo spagnolo). Debbo dire che mi ci sono ritrovato abbastanza, pensavo di aver elaborato una mia base di pensiero ed invece ... ho scoperto che su queste basi si erano cimentati schiere di pensatori, a cominciare da Spinoza. L'averlo scoperto in età matura, leggendo appunto Savater per mio conto, la dice lunga sull'insegnamento della filosofia nelle scuole superiori! Ma questo è un altro discorso. Un caro saluto Giulio

Baol - Fri 16/06/2006 or 14:20
Perseguire il bene comune non significa non perseguire il proprio bene, ma questo vale per me; è chiaro e sono d'accordo con te che vi siano ragioni etiche personali, private, che entri molto in gioco la propria sensibilità verso la comunità, così come la sentiamo; ma è anche per me chiaro che far parte di una comunità coesa, considerata fondamento della propria esistenza, significa spontaneamente rinunciare ad una parte del proprio io, individualismo, a vantaggio di qualcosa che riteniamo più importante. Come dimostrare quindi che si può far coincidere il bene comune con il bene individuale? (per alcuni il concetto risulta ostico, soprattutto in merito alle limitazioni alla propria Libertà)Dimostrando che si può vivere meglio rinunciando anche a una piccola parte di se, delle proprie libertà o del proprio interesse egoistico, così da far comunque coincidere i due valori. Insomma cominciando con il non perseguire l'esclusivo ed immediato bene personale, coltivando una visione più lungimirante, che paga alla lontana, senza perseguire ciò che istintivamente ci sembra sul momento più conveniente (insomma quel che tu chiami un modo miope di guardare alle cose). Spero di essere riuscita a spiegarmi, non sono un filosofo :-( però mi piace molto il confronto con tutti voi :-D Un caro saluto Francesca

giucap - Fri 16/06/2006 or 15:29
Francesca, hai scritto "Perseguire il bene comune non significa non perseguire il proprio bene, ma questo vale per me" ed è proprio questo il punto: stiamo parlando di etica, cioè di quello che vale per ciascuno. Le regole che una comunità si dà per il proprio funzionamento (il "contratto sociale") possono comportare la limitazione di libertà individuali, ma questo non è rilevante dal punto di vista etico. Il problema si pone quando, a fronte di un divieto o meno, mi trovo nella condizione di scegliere che comportamento adottare: so che è vietato, o che non è opportuno, ma so anche che nessuno mi becca; il non comportarmi in un certo modo a quel punto non è una limitazione di libertà, ma proprio un esercizio della stessa. Non lo faccio perché ho scelto di non farlo, perché mi piaccio di più così (amor proprio). "Ama il prossimo tuo come te stesso" è un precetto etico, individuale: ovvio, se non mi amassi come potrei amare, cioè donarmi a chiunque altro; sarebbe come dire che vado a dare una fregatura al povero prossimo di turno! ;-) Naturalmente una comunità non può reggersi solo sull'etica individuale (sarebbe una bellissima utopia), ma non è certo l'etica che limita la libertà, anzi ... l'etica si basa proprio sulla libertà; in assenza della libertà c'è solo la necessità, la non scelta, cioè il contrario dell'etica. Spero di non aver ulteriormente ingarbugliato l'argomento. Un caro saluto Giulio

Baol - Fri 16/06/2006 or 17:37
Sono d'accordo con te, stiamo parlando di etica, di un fatto personale, insufficiente a reggere una comunità. Ma quand'è che il problema diventa morale, pubblico? E' lecito affermare che lo diventi quando ci si rivolge a chi detta le regole? Quando queste regole siano tali da non permettere la persecuzione di un bene comune? Spero che tu non mi abbia ingarbugliato :-) , ma questo è ciò che mi chiedo, credo che maggiore sia il ruolo maggiore sia la responsabilità verso la comunità. Un caro saluto Francesca

Kla - Fri 16/06/2006 or 22:16
Guerra è anche essere un alto grado delle istituzioni e farsi il trapianto dei capelli a circa 70 anni di età mentre i NOSTRI ragazzi Italiani muoiono in nome della PACE. [quote] Baol ha scritto: credo che maggiore sia il ruolo maggiore sia la responsabilità verso la comunità.[/quote]

Vincenzo - Sat 17/06/2006 or 13:18
Non vedo cosa c'entri la morte dei nostri ragazzi in missione di pace con il trapianto dei capelli di Berlusconi. Sarebbero morti comunque. Essere personaggio pubblico nell'attuale società mediatica obbliga TUTTI ad una cura della propria persona-immagine maggiore rispetto al passato. Vincenzo

- Sat 17/06/2006 or 15:20
Magari senza scivolare nel ridicolo.......gli uomini coi capelli tinti in genere fanno abbastanza pena............

Baol - Sat 17/06/2006 or 16:43
Essere personaggio pubblico obbliga ad una cura maggiore del proprio comportamento, della propria condotta, del proprio linguaggio; insomma la cosa più importante è avere qualcosa sotto i capelli, anche perché la cura della propria persona non include necessariamente il reimpianto dei capelli, ci sono tantissimi calvi curatissimi! :-D Ogni riferimento a persone note è puramente casuale! Un caro saluto Francesca

Vincenzo - Sat 17/06/2006 or 18:09
Cara Antonella e Francesca, la mia affermazione era un'altra e cioè che non c'entra nulla l'aspetto fisico (curato o non) con la morte dei regazzi Italiani in missione di pace in Iraq e in Afganistan. E invece giriamo intorno al dettaglio e non al problema principale evidenziato alla mia risposta ad altro utente. Saluti Vincenzo

Kla - Sat 17/06/2006 or 18:23
La cura della persona o la civetteria dei pavoni di circa 70 anni, che pensano a imbellettarsi mentre i NOSTRI RAGAZZI si sacrificano. ADESSO e' CHIARO il senso ? C'entra eccome se c'entra. Comunque io non ho fatto nomi di politici. Non voglio fare pubblicità a nessuno dei politici che fanno queste cose anche per far parlare di se. Che schifo!

giucap - Sat 17/06/2006 or 23:03
Scusate se tralascio i problemi tricologici, ma sono più interessato all'argomento etica/regole. Ogni comunità si basa su un accordo, su un contratto sociale. L'etica ne può prescindere, in quanto individuale, ma la necessità di tale "accordo" è evidente: ciascuno rinuncia a qualcosa in cambio di altro più "conveniente". Nella nostra comunità nazionale il contratto sociale si basa sulla Costituzione dove sono stabilite le regole generali: repubblica, democrazia, divisione dei poteri, e tutte le basi su cui si va a sviluppare il sistema di regole: leggi, regolamenti ecc. Da qui l'importanza della costituzione, e che la stessa sia il più possibile condivisa. Nella costituzione è anche stabilito come si generano le regole, sempre nel rispetto del regolamento originario. Quindi, nel nostro caso (democrazia rappresentativa), chi detta le regole è semplicemente il popolo sovrano, delegando all'uopo propri rappresentanti. Ci sono anche contratti sociali più piccoli, per comunità più ridotte, tipo il regolamento di condominio. In ogni caso, sia per il massimo dei contratti (per noi la costituzione europea, quando ci si arriverà) che per il più piccolo, ci sarà sempre spazio per la propria etica, che ne può essere influenzata in termini generali (di ambiente e cultura) ma che non può accettare alibi: l'ufficiale che si macchia di crimini contro l'umanità non può addurre a scusante che stava eseguendo gli ordini! Pertanto se da un lato si può condividere l'idea che "maggiore sia il ruolo maggiore sia la responsabilità verso la comunità", questo a mio avviso vale dal punto di vista etico di colui che riveste il maggior ruolo, ma non può mai costituire eticamente un alibi per chiunque altro. Un caro saluto Giulio

Baol - Sun 18/06/2006 or 07:24
Rinunciare ad una parte della propria libertà, quando è una scelta etica, personale, sentita, è senza dubbio una libera scelta, quindi è espressione dell’esercizio della propria libertà; “ogni vera libertà non può esprimersi altrimenti che nel poter scegliere il modo di rinunciarvi”, scrive Vittorio Foa. Ma se non c’è nulla di giusto che, anche volendo, valga la pena della rinuncia? Penso che sia questo interrogativo a spostare il problema dal piano personale al piano morale, pubblico. Qualcosa di giusto per cui rinunciare, o quanto meno la speranza che qualcosa di giusto possa realizzarsi attraverso la nostra rinuncia è una speranza di giustizia senza la quale tutto sembra essere vano. Là dove questa possibilità è negata le conseguenze sono sempre state drammatiche. E una speranza di giustizia non può esserci là dove esiste oppressione. Certo, il nostro Paese ha la Costituzione, il popolo sovrano delega i propri rappresentanti, ma dove esiste oppressione è chiaro che questo sia inconcepibile. Giustizia e libertà dunque sono una faccia della medesima medaglia, non c’è l’una senza l’altra, non c’è giustizia senza libertà di perseguirla e non c’è libertà senza una giustizia che meriti di essere perseguita. Se non disponiamo di una formula della giustizia che metta tutti d’accordo, se insomma resta difficile ed anche controverso riuscire in una definizione esatta della giustizia, perché questa sfugge ad una definizione, benché faccia parte dell’esigenza umana, come aspirazione e speranza addirittura vitale, al contrario però ci resta più facile percepire l’ingiustizia, quando per esempio assistiamo allo sfruttamento umano di esseri umani su altri esseri umani, alla violenza perpetrata verso i più deboli, al sopruso; e di qui possiamo percepire chiaramente come: “l’ingiustizia non possa essere il mezzo di nessuna politica, per quanto alto e nobile sia l’ideale che essa persegue” G. Zagrebelskj, secondo il quale inoltre, la giustizia nasce dall’esperienza di un’ingiustizia subita, e quindi per un discorso comune si può partire da questa semplice considerazione, tralasciando speculazioni astratte. “Nessuna politica è conforme alla giustizia se il perseguimento del suo fine comporta il prezzo del male inferto all’innocente”. Questo principio pone interrogativi che l’odierna politica di intervento militare per fini umanitari non può ignorare. Inoltre questo principio è in netto contrasto con la storia passata, dove in realtà si sono sempre anteposti i progetti di potenza dei regni, i poteri religiosi ed economici, alle sofferenze degli innocenti. Un male necessario, un sacrificio in nome del bene di alcuni a discapito di altri, il benessere di cui alcuni popoli godono a discapito di altri popoli. Possiamo dire che tutto ciò è incolpevole? Possiamo percepire con una certa chiarezza che il nostro modo di sopravvivervi è appunto quello del sentirsi incolpevoli, non responsabili, omettendo questi interrogativi dalle nostre vite: una sorta di “cancro morale” diffuso tra le persone comuni, una cecità indotta (oramai in modo quasi inconsapevole) che è la condizione di esistenza delle società opulente. Così, non per affrontare in modo specifico problemi tricologici, ma in generale per riaffermare la stridente disparità che esiste tra la nostra società, il nostro benessere e la miseria e la disperazione di tanta parte del mondo, che versa in condizioni di guerra, fame, in una parola di ingiustizia, ogni tanto, come risvegliandosi da questa cecità indotta, utile alla sopravvivenza, qualcuno di noi coglie questo stridente divario, e il grottesco tremendo contrasto tra un trapianto di capelli e la morte di tante persone in un paese in guerra; o ancora la nostra tavola imbandita e le immagini della fame di tanti popoli che irrompono da un telegiornale… il problema ci investe tutti. Noi restiamo attaccati alle nostre banali problematiche, ai nostri lifting, ai nostri siliconi, al culto dell’esteriorità, alla paura di invecchiare, alla paura di ingrassare, alle nostre nevrosi…. E quando qualche immagine da un Tg ci disturba la cena, ammesso che ci rubi un momento di riflessione, distogliendoci dal “nostro”, non possiamo allora che ritenerci incolpevoli, con le mani legate, perché sono i potenti che dettano le regole, sta a loro risolvere i problemi, noi non abbiamo che il potere di delegare, e poi sono problemi tanto grandi, irrisolvibili… . Anche questo è un anestetico necessario alla nostra coscienza. Un caro saluto Francesca

Kla - Sun 18/06/2006 or 08:15
[quote] Baol ha scritto: Noi restiamo attaccati alle nostre banali problematiche, ai nostri lifting, ai nostri siliconi, al culto dell’esteriorità, alla paura di invecchiare, alla paura di ingrassare, alle nostre nevrosi….[/quote] Tu dici "Noi" io ti dico che concordo su tutte le affermazioni salvo il fatto che non siamo tutti cosi'. Per fortuna. Mi limito ad aggiungere che l'edonismo è una grave malattia e chi ne è affetto perde anche il senso della realtà e di considerazione verso i valori di solidarietà umana. In genere queste persone mettono se stessi al centro di tutto diventando egocentrici. Finiscono per difendere se stessi in modo intollerante ed egoistico. Queste persone se poste in ruoli di responsabilità possono comandare altri anche alla guerra in nome della loro pace.

Salvatore - Sun 18/06/2006 or 17:23
Cari amici, più di una volta abbiamo avuto interessanti discussioni su temi “alti”, ospiti a volte di forum un po’ più terra terra, (piste ciclabili) o di forum altrettanto “alti” (come questo) ma fuori tema. Vi propongo di continuare questa interessante discussione sul forum “Etica & Morale” che ho appena tentato di aprire (penso che servirà l'ok di freddy, infatti non lo vedo ancora). Cordiali saluti. Salvatore

Kla - Sun 18/06/2006 or 18:17
Salvatore, non sono della tua opinione. Il livello è alto ma non siamo fuori tema. Ciò che proponi è come se fossimo in una stanza dove un pò di persone stanno costruendo una seria discussione, all'improvviso arriva qualcuno interrompe è dice andiamo a parlare da un'altra parte e propone anche un nuovo titolo alla discussione. Comunque se vi spostate e il discorso continua vi seguo. Ho solo il dubbio che si possa riprendere da dove c'è stata l'interruzione.

giucap - Mon 19/06/2006 or 09:55
I forum, come una qualunque chiacchierata, a volte prendono indirizzi non proprio conseguenti al punto di partenza, salvo poi tornare a toccare l'argomento principale quando meno te lo aspetti, come ha fatto Francesca. Salvatore, forse è inutile ingabbiarsi nel titolo; secondo me chi è curioso di vedere dove siamo andati a finire continuerà a leggere i post anche se fuori tema, mentre chi non è interessato non cliccherà su "guerra e pace" come non cliccherebbe su "etica e morale". Francesca ha segnalato parecchi aspetti interessanti, dove si intrecciano etica e regole. Secondo me, dato il sistema di democrazia rappresentativa, quello che eticamente il singolo può fare è da un lato partecipare quotidianamente alla vita pubblica, tentando di contribuire "dal basso" alla determinazione o alla modifica delle regole; dall'altro scegliere, nel momento della delega, le persone o i programmi a lui più affini: se non piace quello che si fa il lifting, semplicemente non lo si vota (personalmente come motivazione non mi sembra particolarmente forte, ma potrebbe essere un criterio concorrente con altri). Aggiungerei però, per Vincenzo, che nessuno è costretto a imbellettarsi per far politica, è comunque una scelta collegata al target di elettore cui ci si rivolge. Gli altri problemi "cosmici" sollevati da Francesca lasciano senza parole, si rischia di oscillare tra una soluzione radicale di tipo francescano (mi spoglio di tutto, povero tra i poveri e mi faccio carico anche fisicamente dei mali del mondo) e l'indifferenza totale. In mezzo c'è un mondo, c'è l'arrabbattarsi di ciascuno per tacitare come può la propria coscienza, ci sono scelte più o meno coraggiose nel vivere quotidiano, l'esempio di tanti che trovano comunque il modo di fare la propria parte, pur sapendo che è impossibile svuotare un oceano col secchiello. La consapevolezza di tutto ciò non aiuta, anzi ... E allora avanti con gli anestetici, come ha scritto Francesca. Si tratta di trovare il giusto equilibrio, la giusta misura, e per "giusto" intendo adatto a ciascuno. Non credo però che sarebbe corretto giudicare gli altri, ognuno sarà giudice di sé stesso. Siamo tornati all'etica! Un caro saluto Giulio

Baol - Tue 20/06/2006 or 09:51
Per tornare in tema sollevando ancora un’altra questione, Giulio dirà: “ancora una volta si tocca la questione etica” pur rimanendo in tema di guerra. Abbiamo da poco rivisto attraverso i notiziari le immagini della Somalia, oggi. Un Paese in pieno conflitto, una guerra civile, qualcuno paventa anche il rischio di un possibile conflitto con la vicina Etiopia… ma francamente non mi azzardo più di tanto in questo scenario a me poco chiaro, se non per le sporadiche notizie che ci arrivano. Eppure una domanda sorge spontanea: “dove abbiamo lasciato la Somalia per tutti questi anni?” . Ricorderete la missione umanitaria in Somalia, ricorderete altri morti, alcuni anche italiani, tra cui l’inquietante omicidio di Ilaria Alpi, giornalista, e del suo collaboratore, episodio che ha aperto uno squarcio su alcuni scenari ripugnanti di traffico di rifiuti tossici sul quale non è ancora stata fatta piena chiarezza; ricorderete probabilmente anche alcuni scandali che implicarono purtroppo alcuni nostri militari; poi, improvvisamente, su questo Paese e la sua sorte è come calato un sipario di oltre 10 anni, abbandonata la Somalia e il suo carico umano alla sua guerra intestina, alla sua inesorabile deriva, si sono spenti i riflettori dei media; si è spento l’interesse dell’opinione pubblica. Ma così è per tanti altri conflitti che sono praticamente sconosciuti ai più; dove non siamo in qualche modo parte in causa, attori principali o comparse di un qualche rilievo, nessuno o quasi si interessa del problema. Le luci si spengono. Così si sono spenti anche gli interrogativi sul senso della nostra missione in Somalia, sull’idea che il popolo somalo si sarà fatto della nostra società opulenta dalla memoria corta (un altro efficace anestetico). Saluti Francesca

Salvatore - Mon 01/01/2007 or 17:55

Il 2006 ci ha lasciato con le immagini del barbaro rito dell’impiccagione di Saddam Hussein. Confesso che sono rimasto scosso da tanta inutile crudeltà, somministrata con metodologia fredda e burocratica.

Salvatore


- Tue 02/01/2007 or 08:31
"Doveva" essere eliminato come si è "dovuto" eliminare subito in Romania Ceausescu ed altri dittatori africani hai visto mai che parlavano e fornivano documenti di cose di cui non si deve saper nulla.

Salvatore - Tue 02/01/2007 or 08:50

Bhe, allora sarebbe stato meglio un colpo partito "accidentalmente" durante la cattura, o... che ne so? una raffica di mitra per fermarne la "fuga".

Comunque approfitto per ribadire la mia completa contrarietà alla pena di morte.

Salvatore 


- Tue 02/01/2007 or 15:24
Fermo restando che io trovo mostruosa la pena di morte, indipendentemente dalla "tecnica" o dalla modalità scelta, e la ritengo dimostrazione inconfutabile di barbarie,  inaccettabile da essere umani che si dichiarino progrediti, democratici e civili, a questo punto pongo una domanda: visto che    in Iraq la democrazia è stata "esportata",  come hanno dimostrato le "libere" elezioni che si sono tenute ormai da tempo e da cui è scaturito un governo "legittimo e, appunto, democratico", che il sanguinario raìs è stato "giustiziato", che ci restano a fare lì le truppe americane, se lo scopo dichiarato della missione era di raggiungere questo storico (per dirla con Bush...) risultato?

Salvatore - Tue 02/01/2007 or 15:49

E dai Antonella! Non rigirare il coltello nella piaga con sadica ironia.

Salvatore


Freddy - Tue 02/01/2007 or 23:20

Avevo aperto, o meglio stavo per aprire pochi giorni fa, un post sulla questione omicidio Saddam (perchè io lo considero così) ma poi mi sono accorto che l'argomento si stava già affontando su questo forum ed ho cancellato tutto. Forse però è stato meglio perchè riflettendo un pò di più ho potuto razionalizzare meglio i miei sentimenti e quindi essere un pò meno istintivo. Infatti alla notizia abbastanza improvvisa dell'omicidio di Saddam la mia reazione è stata di assoluta rabbia e l'arei voluta gridare al mondo intero. La rabbia però non era tanto dettata dal soggetto coinvolto e dalla sua dannosa e penosa vicenda umana, quanto dalla stupidità di chi alle soglie del 2007 utilizza ancora questi metodi barbari e in nome di una fantomatica giustizia, ne fa un show internazionale,  E' chiaro infatti che sarebbe stato meglio parlare di "vendetta",  quantomeno avremmo salvato la faccia ! La vendetta è un istinto naturale e se esercitata a caldo, potrebbe anche trovare una certa giustificazione (in fondo qualcuno pensa che siamo solo degli animali un pò più intelligenti), ma uccidere un uomo CHIUNQUE ESSO SIA e parlare di giustizia credevo fosse un un gesto definitivamente deprecato. Invece no, invece ancora si uccide nella convizione che si sta facendo qualcosa di positivo. Mah!

Sette - otto o forse più le dimensione presupposte dagli scienziati all'interno delle galassie (notizia di poci giorni fa) e mentre alcuni uomini viaggiano fuori dai confini dell'universo, altri ancora non escono dai confini della proprie piccolezze.

Freddy


Kla - Fri 05/01/2007 or 13:44

La stampa non ha dato molto risalto all'imputazione che ha determinato la condanna a morte di Saddam.

Le imputazioni potevano essere tante ma se ne e' "scelta" una , forse la piu' scomoda per gli Iracheni che hanno dovuto giudicare.

Poteva essere scomoda anche per gli Americani che all'epoca dei fatti contestati collaboravano attivamente sia politicamente che economicamente con Saddam e il suo governo affinche' il regime in IRAQ regesse e potesse continuare indisturbato ad esercitare il proprio potere sulle risorse del territorio.

I fatti che hanno incriminato Saddam sono del 1982. Piu' precisamente i giudici hanno imputato e condannato a morte Saddam di crimini di guerra per la tortura e l’esecuzione di 148 uomini e ragazzi del villaggio di Dujail, come rappresaglia per un tentato omicidio a suo danno mentre il convoglio presidenziale era di passaggio nel villaggio nel 1982.

In poche parole dopo aver sventato un attentato a suo dannno Saddam aveva fatto torturare e giustiziare chi ha tentato di ucciderlo. Chi ha aiutato il governo Iracheno a sventare l'attentato non e' dato a sapersi.

Una cosa e' certa la decisione di processare Saddam Hussein da un tribunale interamente iracheno, se da un lato sembra aderire e realizzare il principio di sovranità, dall’altro sembra più perseguire la volontà di rispettare il volere statunitense, evitando anche che un vaglio più scrupoloso degli accadimenti di cui è imputato il dittatore possa far emergere gli antichi legami del governo statunitense con il regime di Hussein e la volontà del primo di ignorare le violazioni ai diritti umani del secondo, mettendo in grave imbarazzo e in una posizione ancora più scomoda gli Stati Uniti.

A questo punto mi fermo qui con la cronaca, Ognuono puo' serenamete dare il proprio giudizio sui fatti, o meglio sulle poche cose che si sanno (secondo me non ci dicono tutto).

Sono contro la pena di morte e contro la violenza in qualsiasi forma la si manifesti ivi compreso la disinformazione o la misticazione della realta'.

Non mi e' molto piaciuto che lo spunto per domandarsi se sia venuto finalmente il momento di abolire la pena di morte in tutto il mondo parta dalla condanna ed esecuzione a morte di un dittatore e non da altre persone comuni (comunque criminali) condannati a morte.

Sono sconcertato quando sento parlare di esposrtazione di Democrazia (con la D maiuscola) attraverso la guerra e le condanne a morte.

Sono impaurito quando sento parlare di pace e di religione chi fomenta il terrorismo seminando il panico nel mondo.

Sono convinto che chi muove i perversi meccanismi di potere e di violenza non sia la politica (con la P maiuscola) ma l'economia e la gestione delle risorse dei territori che e' in mano a poche persone.

 


- Sat 17/02/2007 or 18:47

Caro Claudio vorrei risponderti punto per punto; troverai i miei commenti di seguito ai tuoi ma con un colore diverso.

Gianni

[quote] [b]Kla ha scritto:[/b]

La stampa non ha dato molto risalto all'imputazione che ha determinato la condanna a morte di Saddam. Quando hai scritto questo messaggio ancora se ne parlava poco ... ma poi se ne è parlato molto. Secondo me potevi aspettare prima di esprimere questo giudizio.

Le imputazioni potevano essere tante ma se ne e' "scelta" una , forse la piu' scomoda per gli Iracheni che hanno dovuto giudicare. Non so a cosa tu ti riferisca in particolare ... quali sarebbero le altre imputazioni? Forse si è pubblicizzato l'episodio più clamoroso ... ma quel genere di comportamenti Saddam li ha sempre tenuti (torture, omicidi su commissione, persecuzioni di ogni genere, ecc.).

Poteva essere scomoda anche per gli Americani che all'epoca dei fatti contestati collaboravano attivamente sia politicamente che economicamente con Saddam e il suo governo affinche' il regime in IRAQ regesse e potesse continuare indisturbato ad esercitare il proprio potere sulle risorse del territorio. Beh, un po' come dire che siccome il governo Italiano stringe alleanze e patti con la Cina è corresponsabile delle continue violazioni dei diritti umani attuate dal governo di Pechino (sfruttamento degli schiavi, torture, persecuzioni politiche, esecuzioni sommarie, sterminio delle popolazioni occupate ... vedasi Tibet, ecc.)

I fatti che hanno incriminato Saddam sono del 1982. Piu' precisamente i giudici hanno imputato e condannato a morte Saddam di crimini di guerra per la tortura e l’esecuzione di 148 uomini e ragazzi del villaggio di Dujail, come rappresaglia per un tentato omicidio a suo danno mentre il convoglio presidenziale era di passaggio nel villaggio nel 1982. E' incontrovertibilmente vero che sia stato un suo ordine e che questo sia stato fedelmente eseguito!!!

In poche parole dopo aver sventato un attentato a suo dannno Saddam aveva fatto torturare e giustiziare chi ha tentato di ucciderlo. Chi ha aiutato il governo Iracheno a sventare l'attentato non e' dato a sapersi. Trovo questa tua insinuazione un po' azzardata. Non puoi lanciare il sasso e tirare indietro la mano ... di' chiaramente cosa pensi tu!

Una cosa e' certa la decisione di processare Saddam Hussein da un tribunale interamente iracheno, se da un lato sembra aderire e realizzare il principio di sovranità, dall’altro sembra più perseguire la volontà di rispettare il volere statunitense, evitando anche che un vaglio più scrupoloso degli accadimenti di cui è imputato il dittatore possa far emergere gli antichi legami del governo statunitense con il regime di Hussein e la volontà del primo di ignorare le violazioni ai diritti umani del secondo, mettendo in grave imbarazzo e in una posizione ancora più scomoda gli Stati Uniti. Da ciò che scrivi sembra che un vaglio più scrupoloso potesse far emergere delle responsabilità americane nella strage del villaggio di Dujail ... ma ti rendi conto di ciò che dici???? ... Ma su cosa lo poggi? Dove sono le prove di ciò che dici? E' gravissimo il tuo discorso.

A questo punto mi fermo qui con la cronaca, Ognuono puo' serenamete dare il proprio giudizio sui fatti, o meglio sulle poche cose che si sanno (secondo me non ci dicono tutto). Serenamente???? Dopo che hai dipinto il tuo quadro personale ... in base a quali fatti una persona dovrebbe farsi un giudizio sereno?

Sono contro la pena di morte e contro la violenza in qualsiasi forma la si manifesti ivi compreso la disinformazione o la misticazione della realta'. Questa è l'unica cosa che ci accomuna. Quanto poi alla disinformazione e mistificazione della realtà ... vatti a leggere i verbali della Commissione Parlamentare sul dossier Mitrokin e vedi di cosa sono capaci certi politici italiani attualmente in carica (e non parlo solo di una parte specifica)

Non mi e' molto piaciuto che lo spunto per domandarsi se sia venuto finalmente il momento di abolire la pena di morte in tutto il mondo parta dalla condanna ed esecuzione a morte di un dittatore e non da altre persone comuni (comunque criminali) condannati a morte. Io ricordo di molte iniziative anti pena di morte in occasione di ogni esecuzione ... fatta eccezione per quelle fatte in Cina ed a Cuba ... lì chi dissente o non ha spazio o viene a sua volta condannato!

Sono sconcertato quando sento parlare di esposrtazione di Democrazia (con la D maiuscola) attraverso la guerra e le condanne a morte. Posso portarti tanti esempi ... tipo i Cubani in Angola prima che l'ONU desse loro l'investitura ufficiale, come forza di interposizione tra le varie fazioni combattenti post regime portoghese, in quanto Cuba veniva ritenuta un Paese "non allineato" (ovvero né per la NATO né per il Patto di Varsavia). Ma ne ho altri se vuoi.

Sono impaurito quando sento parlare di pace e di religione chi fomenta il terrorismo seminando il panico nel mondo. A chi lo dici??!!

Sono convinto che chi muove i perversi meccanismi di potere e di violenza non sia la politica (con la P maiuscola) ma l'economia e la gestione delle risorse dei territori che e' in mano a poche persone. Questa èuna congettura ... per quanto non proprio priva di fondamento. Se leggi trattati di politica di ogni segno ... le guerre e la politica sono funzionali sempre al perseguimento di fini economici. E' sempre stato così!

 

[/quote]

Kla - Sat 17/02/2007 or 23:49

PREMESSO CHE: 

Sono contro la pena di morte e contro la violenza in qualsiasi forma la si manifesti ivi compreso la disinformazione o la misticazione della realta'.

Da qualsiasi potere e colore politico siano perpetuate, oggi a parzialissima rettifica se non fosse stato ancora chiaro e ciò che aggiungo al mio commento del 5 gennaio.

Preciso inoltre che sono contro le provocazioni che provengano da qualsiasi tipo di estremismo.

CHIARISCO CHE: 

Forse sono stato frainteso ma io non difendo ne accuso Saddam e non difendo ne accuso gli Americani o i giudici che hanno emesso la sentenza, cerco soprattutto di porre all'attenzione che molta stampa non dice tutta la verità e che le cronache sono spesso condizionate da poteri economici locali che hanno in mano i mezzi di informazione.

L'approfondimento sulla notizia che ho cercato di fare è semplicemente venuta fuori leggendo, ascoltano e mettendo insieme le notizie che in quei giorni sono state trasmesse in MOLTI paesi del mondo, se mi fossi limitato alle sole e poche informazioni trasmesse in Italia avrei avuto una percezione troppo parziale della realtà. Oggi posso dire che se anche avessi aspettato qualche giorno, sarei giunto alle stesse conclusioni, visto che le notizie uscite nei giorni successivi fino ad oggi, non hanno cambiato il contenuto dell'insieme di notizie , pertanto  ad oggi non cambia neanche il mio personale atteggiamento di diffidenza.

 

 


- Sun 18/02/2007 or 21:36

Caro Claudio,

tutto giusto e condivisibile ... finché non fai sottili allusioni alla cecità degli americani circa la barbarie dell'ex dittatore iracheno. Che i mass media siano, il più delle volte, pilotati è, purtroppo, un dato di fatto. Ma non ricordo assolutamente che in Italia la condanna a morte e la conseguente esecuzione di Saddam Hussein sia passata, per così dire, in sordina.

Ovvio che l'ascolto di più fonti di informazione aiuta a delineare un quadro delle varie vicende più attendibile; ma non si può scegliere, di queste notizie, quelle parti che più fanno comodo al fine di disegnare una realtà che non è poi così scontata.

Per farti un esempio: ad oggi i familiari delle vittime di Ustica se la prendono con gli Americani ed il governo Italiano che avrebbe coperto il presunto abbattimento del DC9. Sull'argomento si è detto di tutto ... ma si è volutamente escluso di menzionare che dall'inchiesta, in base ad una perizia tecnica, emerse che sulla porta del bagno dell'aereo c'erano tracce di Semtex, un esplosivo al plastico di fabbricazione Cecoslovacca (simile al C-4 americano), normalmente usato dai sovietici e dai loro alleati. Ciò smentirebbe la tesi dell'abbattimento in volo ad opera di un aereo della NATO.

Perché si è voluto far trapelare solo una certa visione della realtà e frutto di informazioni parziali e confuse?

Questa domanda spiega anche il motivo delle mie osservazioni circa la tua risposta.

Ciao


Kla - Sun 18/02/2007 or 22:14

Che cosa avrei fatto io ? Avrei scelto "quelle parti che più fanno comodo al fine di disegnare una realtà che non è poi così scontata".

E' proprio ciò che ho evitato di fare mettendo insieme le uniche notizie emesse da più fonti e se sono state parziali o confuse non dipende da me. Per questo occorre comprenderle ed afferrarne il senso in una visione globale dei fatti. Ognuno poi e libero di interpretare nel miglior modo possibile con il materiale che ha.

Ribadisco che sono contrario alle mistificazioni o alle prese di posizione per partito preso, quindi per favore astieniti di assegnare a me tue singolari e personalissime interpretazioni di quanto da me affermato nei post precedenti. Oltrettutto cerchi di indicare contraddizioni sulle informazioni di altri casi come il DC9. Se anche qui si è data informazione parziale o distorta o si è nascosto qualcosa, naturalmente  e coerentemente condanno l'operato.

Non sto cercando il colpevole o prendendo le parti di qualcuno, sto solo continualdo ad affermare che per essere bene informati più fonti si ascoltano più ci si può fare un'idea su quanto realmente accade in questo mondo, ma non è detto che si arrivi sempre a tutta la verità.

Secondo il mio modestissimo parere, qualche volta ciò che accade va proprio contro il proprio modo di essere ed il proprio ideale politico. Bisogna avere il coraggio e l'obiettività critica di accettare la realtà , trarne esperienza per migliorarsi.


- Mon 19/02/2007 or 11:33

Va beh, Claudio, chiudiamola qui. Non voglio che diventi un nuovo caso personale. Volevo solo farti riflettere che tra le righe di ciò che scrivevi si percepiva una velata accusa agli americani. Tu dici che così non è ... va beh ... accetto ciò che ribadisci.

Come giustamente dici tu: ognuno è libero di formarsi le proprie opinioni in base alle informazioni di cui dispone ... chi leggerà i post precedenti potrà fare esattamente ciò che inviti a far tu.

Ciao. Gianni



La fonte di questa discussione � Il Portale dei quartieri di Latina Nascosa e Nuova Latina
www.q4q5.it

L'indirizzo di questa discussione �:
/modules/newbb/viewtopic.php